“Letizia va alla guerra – La suora, la sposa e la puttana”, darmmaturgia di Agnese Fallongo anche interprete assieme a Tiziano Caputo, regia di Adriano Evangelisti. Al teatro Basilica di Roma
Piccole grandi donne nel fuoco nemico
“La suora, la sposa e la puttana” potrebbe essere il titolo ma fa un po’ troppo commedia all’italiana anni Settanta, quindi è il sottotitolo di Letizia va alla guerra che è più sobrio e anche più giusto. Il testo, scritto da Agnese Fallongo, da lei interpretato assieme a Tiziano Caputo, in scena al teatro Basilica con la regia di Adriano Evangelisti, sta in giro da quasi dieci anni e a Roma è stato proposto in tre o quattro palcoscenici diversi. Tuttavia domenica scorsa in pomeridiana platea esaurita e lista d’attesa. Lo spettacolo funziona e chiama, è fatto bene, molto bene, la gente apprezza, si entusiasma e gratifica i due attori agli applausi finali riconoscendo la loro bravura. Fallongo nel ruolo del titolo è un’artista di alta levatura, di tecnica raffinata e al contempo interprete calda, poetica. Caputo è un deuteragonista impeccabile, recita, canta e suona la chitarra, è l’uomo che accompagna la donna nel calor bianco della vita. Bianco come il vestito da sposa con cui l’attrice incomincia lo spettacolo.
Dalla fine dell’emergenza pandemica, l’osservazione empirica dei teatri capitolini indica che le sale sono spesso piene, che anche i giovani vanno a teatro, gli spettacoli appaiono complessivamente assai migliorati e il pubblico accorre. Gli unici a non essersi accorti del fenomeno sono i giornali, che continuano a ignorare la prosa, e la politica che soprattutto a Roma continua a disinteressarsi completamente della moria di sale, prima fra tutte il Valle, poi l’Eliseo e il Piccolo Eliseo, il Globe, la Cometa, l’Orologio, il Flaiano, il Quirinetta, il Delle Arti eccetera. Ognuno chiuso per ragioni varie e diverse ma non per l’assenza di spettatori. Il guaio è che la maggior parte dei gazzettieri, e in particolare i loro direttori, sono allo spettatore di prosa ciò che il cammello è al cavallo; quanto ai politici, Bombolo, al secolo Franco Lechner, aveva uno spessore culturale superiore. Incominciò come piattaro ambulante dalle parti di Campo dei fiori, mestiere onesto.
Letizia va alla guerra è diviso in tre parti, tre storie, tre donne, tre Letizie. Apparentemente le prime due sono indipendenti l’una dall’altra ma la terza è la vicenda di raccordo. Il primo racconto, la sposa: Grande Guerra, Letizia e Michele convolano a nozze il giorno in cui lui dalla Sicilia deve partire soldato. Dopo qualche tempo, sale anche lei al Nord a cercare il marito sul fronte carnico. Il secondo, la puttana: è il 10 giugno 1940, Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia e alla stazione Termini arriva da Littoria (l’attuale Latina) una ragazza orfana. Lina, educata dalle suore, diventa la prostituta Letizia nella “maison” d’una zia, Gemma, maîtresse del bordello di via Mario de’ Fiori. Per inciso, questa casa di tolleranza esisteva veramente ed era nota in vizio ma anche in virtù degli gli affreschi erotici. La religiosa del terzo racconto invece, suor Letizia, è una veneta che per i sorprendenti incroci del destino rappresenta il trait d’union della sposa e della puttana.
Nel lontano ed esotico paese di Porcalia, attualmente governato da una banda di fascisti pistoleri, uno spettacolo siffatto su un palcoscenico della sua capitale, l’antica città di Coma, oggi infestata da zombie in erezione nel saluto romano, potrebbe essere visto come opportuno e necessario: parla di piccole donne coraggiose dalla vita difficile che nel fuoco della Storia e nei vent’anni della vergogna porcalica restano dignitose e in tal modo onorano la loro gente. Ma a Porcalia il teatro è Resistenza, è lotta partigiana appoggiata da gran parte della popolazione. I falsi patrioti nazionalisti al potere comandati dalla camicetta nera Benita e i loro compagni di sinestra (sinistra di destra) che amministrano la città di Coma, non vorrebbero mai vedere uno spettacolo come Letizia va alla guerra. Dimostra senza ombra di dubbio che i governati sono assai migliori dei governanti, i quali meriterebbero, secondo la loro stessa logica fascista patriottarda, di essere processati per alto tradimento. Alto tradimento culturale, il peggiore, il più distruttivo.