“L’anatra all’arancia” di William Douglas-Home, adattamento di Marc-Gilbert Sauvajon. Con Emilio Solfrizzi e Carlotta Natoli diretti da Claudio Greg Gregori. Al Quirino di Roma
In amore tutto è permesso, persino ricominciare
Poco dopo l’inizio dell’Anatra all’arancia al Quirino di Roma, va via la luce tagliando la battuta al protagonista Emilio Solfrizzi. Un paio di secondi, non di più. E Solfrizzi: “Abbiamo pagato?”. Il comico è come il genio in Amici miei: fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione.
Si sa che la macchina teatrale di William Douglas-Home adattata da Marc-Gilbert Sauvajon è perfetta anche alla semplice lettura. Però se finisce nell’arte d’una coppia come quella formata da Solfrizzi e da Carlotta Natoli, allora si sta nel miglior teatro di boulevard con il suo sempiterno argomento del rapporto fra uomo e donna e le sue altrettanto intramontabili seccature, le corna. La gran trovata della commedia è di rovesciare la convenzione del marito tradito e mazziato e di trasformarlo in un uomo intelligente e astuto. Non per questo, la moglie diventa sciocca ed invece cerca di lottare contro la stupefacente abilità del consorte, finendo per rimanerne affascinata. In effetti L’anatra all’arancia racconta la storia di una riconquista che avanza sulla strategia d’un secondo corteggiamento e si sviluppa come una favola dell’amore che rinasce. Il babbeo è l’amante. Una commedia brillante che ribalta le dinamiche del genere e dimostra che in amore non solo tutto è permesso ma c’è sempre speranza: da questo punto di vista, si rivela poetica sotto un tappeto di battute spesso persino caustiche.
Solfrizzi interpreta Gilberto, nell’originale Hugh, ma il personaggio è leggermente italianizzato (come la commedia che si svolge in Brianza) e scherzosamente porta il secondo nome di Sauvajon. Gilberto è sposato da una quindicina d’anni con Lisa (Carlotta Natoli), la quale si è trovata come amante un aristocratico lezioso, manierato, fessacchiotto affidato a Ruben Rigillo. Il matrimonio è chiaramente a terra, anche perché il marito, autore televisivo di molto successo, passa il suo tempo a lavorare e a tradire la moglie. Però quando lei gli dice che domani parte per Parigi con il conte – maritino mio arrivederci e grazie, è stato bello ma ora basta – lui le propone di ospitare l’amante per la serata e per la notte di modo da regolare tutti insieme e con garbo le questioni pratiche della separazione. Al contempo convoca a casa la sua procacissima segretaria (Beatrice Schiaffino). Si ritrovano tutt’e quattro in salotto, Gilberto ha già detto a Lisa che in sede di divorzio si accollerà le colpe del naufragio matrimoniale, un vero signore che adesso si applica a demolire la figura del nobile e a fare ingelosire la moglie mediante la bambolona, nuda dalle caviglie alle cosce e dalle cosce in su vestita in stile telegrafico.
Naturalmente la vicenda finisce nel migliore dei modi, come sanno tutti coloro che negli anni Settanta hanno visto il film di Luciano Salce con Ugo Tognazzi, Monica Vitti, Barbara Bouchet e John Richardson o lo spettacolo con Alberto Lionello anche regista, Valeria Valeri, Lia Tanzi e Gabriele Carrara. In un perfetto scambio di coppie Gilberto riacchiappa la sua regina e l’aristogalletto se ne va con la bellona. Ora, non solo gli interpreti hanno da essere molto ironici e anche teneri nei confronti dei loro personaggi ma alle due donne va un compito non semplicissimo: il pubblico naturalmente prova un debole per la segretaria e Lisa, che non può essere altrettanto sexy (altrimenti il gioco finisce all’istante), deve rendere credibile il fatto che né Gilberto e nemmeno l’amante scappino con la rivale. Quindi Carlotta Natoli ha da essere fascinosa non solo per la sua grazia muliebre ma perché simpatica, buffa, divertente, spiritosa. Anche la moglie riconquista il marito: e gli dice no e lo rifiuta ed è gelosa e lo rivuole, insomma tutto quel tira e molla, vado via ma resto qua, ti lascio e ti tengo, ti detesto amore mio, che caratterizza l’illogica e imprevedibile meraviglia della femminilità. Beatrice Schiaffino fa l’oca giuliva, la vamp svampita, spontanea e senza malizia nella sua sensualità esagerata e ingenua come un cartone animato. Le due attrici sono bravissime e Natoli, che all’inizio sembra quasi inerme di fronte all’esuberanza e alla brillantezza di Solfrizzi, una trottolina girata e rigirata dal capocomico, viene fuori alla distanza, sa che il personaggio sulla carta è costruito bene, un po’ di ritmo, un po’ di facce, smorfie e strabuzzamenti d’occhi, molta ironia e vola. Rigillo sta fra lo chic e lo sciocco come un nobile che per tutto il pranzo discettasse della disposizione delle posate a tavola o al cimitero del suo albero genealogico. Quasi rischia d’essere stucchevole più d’una zolletta di zucchero nella marmellata di fichi, ma rende la parte burlesca e scredita il personaggio lentamente (altrimenti non si capirebbe perché Lisa si sia invaghita d’un simile cicisbeo). Tutti questi equilibri, dettagli, attenzioni sono anche merito della regia di Claudio Greg Gregori, molto curata. Poi c’è Solfrizzi che fa quello che vuole.