“Caravaggio il maledetto”, libero adattamento di Ferdinando Ceriani anche regista dal “Caravaggio, probabilmente” di Franco Molè. Con Primo Reggiani, Francesca Valtorta e Fabrizio Bordignon. Al Ghione di Roma
La violenza della luce
Come fu che Michelangelo Merisi detto il Caravaggio prese a modello prostitute, per esempio Maddalena Antonietti detta Lena che con scandalo rese immortale come Madonna dei pellegrini e Madonna dei palafrenieri? Santa e puttana la femmina caravaggesca non per causa dell’ipocrita fallocrazia cattolica ma per la superiore libertà dell’artista – ogni artista, anche il peggiore, ha in sé qualcosa di supremo – di vedere una vergine in una donnaccia.
Il gran pittore dice di volere dipingere Maria con “sangue, vita, seno, collo, cosce, sesso” come non se ne s’è mai fatta una prima d’ora che si sta fra Cinque e Seicento e son secoli che si dipingono cose novissime nell’arte italiana ma non Madonne come le sue. In scena al Ghione di Roma, Caravaggio il maledetto, libero adattamento di Ferdinando Ceriani anche regista tratto da Caravaggio, probabilmente di Franco Molè, è un adulto bambino, un fanciullo divino sempre teso, incavolato, ingordo d’ogni suo giorno pieno di bordelli, taverne, osterie, risse, femmine e pennelli, tele, colori ad olio con il loro odore forte. E di luce: in una stanza cinque personaggi attorno a un tavolo; uno, giovane, chino a contare monete avidamente; due uomini entrano a destra, Pietro e Gesù che si portano tutta la luce appresso dentro questa specie di bettola. È La vocazione di San Matteo che si vede proiettata in palcoscenico. E luce, luce, luce, vita invade i Musici commissionato da sua Eminenza Francesco Maria del Monte, protettore dell’artista.
È la luce della vita che l’interprete Primo Reggiani vuole tirare fuori dal suo Caravaggio, la furia d’ogni cosa, d’ogni donna, d’ogni quadro, il senso straziante d’una perdita continua, il divoramento violento della sua ora di veglia fra due sonni eterni. Si danna Reggiani per Merisi, lo vuole portare sul palco pieno di passione e sangue e riesce ad averlo, pure troppo, come se a volte a comandar l’attore fosse un personaggio che non accetta controllo, nemmeno quel po’ di misura necessaria all’interpretazione per evitare che la recitazione si faccia torrente fuori d’argini. La regia pare apprezzare, anzi esorta l’attore alla febbre di un’unica verità che rifiuta la distinzione fra essere e creare.
Il pittore ha completato una sua opera e dice al Cardinale di avere dipinto la decapitazione di Francesco Cenci da parte della figlia Beatrice, stufa di essere abusata e violentata dal padre. Ma siccome il Papa non può permettere delitti contro l’autorità, Beatrice va condannata alla pena capitale e alla damnatio memoriae, non certo glorificata in un quadro come vindice giustiziera. Quindi Sua Eminenza impone che il titolo del quadro sia Giuditta e Oloferne. Per giunta la modella per la bella vedova di Betulia è Fillide Melandroni, cortigiana e prostituta, non sia mai diventi eroina. Si dice che Fillide vada a letto con il pittore ma certamente è l’amante di Ranuccio Tomassoni, il suo magnaccia, come si dice a Roma, che procura femmine all’alta società, nobili, prelati, ricchi borghesi. È lui che Michelangelo ammazza, costretto poi a scappare da Roma.
Accanto al passionale Reggiani, Fabrizio Bordignon è un punto di equilibrio e si impegna in più ruoli: il mercante d’arte, il frate dell’ospedale della Misericordia; il pescatore che all’inizio dello spettacolo trova il pittore moribondo sulla spiaggia a Porto Ercole; ma soprattutto l’esteta e potente cardinal Del Monte, omosessuale che cerca di moderare l’incontrollabile artista ma vuole anche ghermirlo. Il pubblico attento e silente per tutta la rappresentazione, anche perché la messinscena non prevede tempi per applausi a scena aperta, manifesta il suo apprezzamento alla fine, caloroso e ripetuto anche per Francesca Valtorta che interpreta le varie amanti e prostitute di Michelangelo, Lena in particolare, ed è sensuale, elegante, credibile come femmina e come donna con un lato intellettuale, o perlomeno di femme d’artiste, che caratterizza il personaggio ma anche completa la figura del Caravaggio, perché non si può credere che a un tale genio piacessero le puttane da poco invece delle intelligenti.