“Rumori fuori scena” di Michael Frayn, regia di Attilio Corsini, con gli interpreti della compagnia Attori e Tecnici. Al Vittoria di Roma
C’è qualcosa di antico oggi a teatro, anzi di nuovo
Una critica apparsa nel 2019 sul Telegraph in occasione di un allestimento di Rumori fuori scena (Noises off) al londinese Lyric Hammersmith sosteneva che “un cambiamento culturale ha allontanato da noi lo spettacolo”. Il cambiamento culturale starebbe nella supposta diffidenza del pubblico di oggi riguardo i testi che sfruttano gli stereotipi sul regista predatore e insensibile, per esempio, o sulle donne in competizione per il maschio, o i luoghi comuni sugli arabi. Però nello stesso pezzo si nota che il pubblico si diverte molto.
Quindi in teoria Rumori fuori scena sarebbe un testo vecchio, rappresentato per la prima volta nel lontano, lontanissimo 1982 (sempre al Lyric), e in Italia nel 1983 al teatro Flaiano di Roma, quando stavamo nelle caverne. Adesso che siamo diventati tutti più buoni e civilizzati, è vietato sfottere. Invece per fortuna si ride molto a Londra, dove evidentemente le platee sono meno bigotte di quanto i critici suppongano, e a Roma al teatro Vittoria, dopo trentasei anni di rappresentazioni della compagnia Attori e Tecnici. La replica numero 7805 è una pomeridiana domenicale, ultima data delle tre settimane e due giorni in cartellone, tutto esaurito e sedie aggiunte, ancora una volta se n’è cascato il teatro.
Ora, ci sarà una ragione a un successo così duraturo da diventare un caso, anche tenendo conto del fatto che il pubblico romano sarà forse meno teatrale di quello londinese ma probabilmente più irriverente e beffardo. Vero che l’allestimento viene ogni anno ripreso con l’originaria regia di Attilio Corsini (scomparso nel 2008), perfetta, matematica. E che la compagnia, impegnata su una commedia costruita con la precisione meccanica di un motorista nevrotico della Ferrari, non perde un colpo, non butta una battuta, non manca un tempo. Però oltre alla comicità di situazioni iperrealistiche fino al surreale, alla demenzialità credibilissima dei personaggi, al formidabile gioco di entrate, uscite, malintesi, nonsense, iperboli, eufemismi, incontri, scontri, amori e tradimenti, c’è il teatro. Noise off è teatro nel teatro, metateatro, viene da dire doppio teatro, è un’esaltazione dell’arte scenica, un’esagerazione, una maggiorazione, una maggiorata nell’equivalente femminile. Contiene la rivelazione al pubblico della macchina comica nei due significati di come funziona uno spettacolo e delle tecniche per attivare la risata. Espone però il suo scheletro in forma parossistica, quindi brillante, e non come ideologia di ricerca teatrale in cui l’esibizione dei tiri e delle mura perimetrali del palcoscenico rappresenta una dichiarazione antiborghese. Il vero fallimento della scena borghese è nella progressiva caduta di questa compagnia che deve allestire una bedroom farce, come la chiamano gli inglesi (seppur il più bravo a scriverle è stato il francese Georges Feydeau), una commedia leggera di amorazzi, camere da letto e porte che sbattono intitolata Nothing on, Nulla addosso. La pièce è immaginaria, non è mai stata scritta, al contrario de Il giuoco delle parti che Pirandello, molto attento alla propria autorale presenza, impone alla compagnia dei Sei personaggi. Nel primo atto di Noises off si prova Nothing on con molta difficoltà e già parecchi scombinamenti; al secondo si vede una replica dalle quinte e la situazione è grave ma non seria; al terzo lo spettacolo rovina completamente davanti al pubblico in mezzo ai rancori, le ripicche, le vendette degli attori.
La platea intera riconosce quello che succede in palcoscenico perché si tratta d’una deliziosa metafora della vita e delle squinternate relazioni fra esseri umani e perché smonta un gioco, il teatro, i cui principi sono noti universalmente e iscritti nella natura stessa dell’essere umano, quindi pienamente comprensibili anche a chi in sala non va mai. È proprio lo spettacolo per tutti, sofisticato e tecnicamente difficile da fare ma popolare. Il teatro è sempre popolare, altrimenti non è teatro, è vanità.