“Trascendi e sali” di e con Alessandro Bergonzoni. All’Auditorium Parco della Musica di Roma

Trascendi e sali

Fuochi di parole

Uno spettacolo del 2018 di Alessandro Bergonzoni, ripreso per un paio di sere alla sala Petrassi dell’Auditorium di Roma, è un’ottima occasione per cercare di capire quanto sia vero, o almeno possibile, ciò di cui si va parlando da un po’ di tempo a questa parte con sempre maggior insistenza: se l’Intelligenza Artificiale, l’I.A., posto che non sia Idiozia Artificiale, possa effettivamente sostituire l’uomo nella creazione artistica.
Il titolo, Trascendi e Sali, dà solo un’idea della raffinatezza e della fantasiosità che caratterizzano l’interminabile sequenza di giochi di parole, anzi fuochi di parole, dispiegata dal comico bolognese in quasi due ore di spettacolo, più quattro bis. Di fronte a tanta prestidigitazione linguistica ci si sente “studenti ottusi, bisogna girare l’angolo per diventare acuti” e una I.N., intelligenza naturale, si chiede se un sistema I.A. specializzato nella scrittura e nella generazione di narrazioni, più precisamente una chat Gpt (tecnologia generative pretrained transformer, modello linguistico autoregressivo basato sull’apprendimento profondo) sarebbe in grado di fabbricare simili  scherzi semantici: “Vedo un bambino piangere un albero che muore e gli dico non piangere salici”; “Avete mai osservato un minuto di silenzio da vicino?”, “Religioni, per favore scambiatevi le fedi.”
La convinzione di un’intelligenza naturale di media capacità è che un tale livello di manipolazione della struttura linguistica genera una distorsione del significato talmente ampia che una I.A. non la può classificare come dato che si stabilizza nel suo generarsi ma solo come errore. Quindi esclude dal campo delle probabilità narrative il passaggio di Bergonzoni che dice: “Lo strumento musicale più esistenzialista è il citofono: chi è? Chi sei?”. Però gli specialisti di reti neurali spiegano che le cose sono più complesse perché noi cerebri biologici non abbiamo ancora chiaro fino a che punto queste I.A. comprendono le strutture metalinguistiche. Esiste per esempio una I.A. di Google in grado di sapere perché una battuta fa ridere ma sui giochi di parole i software falliscono a meno che non si tratti di semplici inversioni. Quindi un sistema I.A. capirebbe questa proposizione di Freud: “Il tenore di vita dei coniugi X è piuttosto elevato; secondo alcuni il marito deve avere guadagnato molto ed essersi poi un po’ adagiato, secondo altri è invece la moglie che si è un po’ adagiata e così ha guadagnato molto”. Qui però alla mente biologica, lenta carretta colma di pensieri, caretta caretta, nome scientifico della tartaruga, sorge un dubbio (il dubbio è una caratteristica del capace, non del carapace): posso spiegare a una I.A. la meccanica di un’inversione per fare ridere un essere umano, ma lei non capisce perché un’inversione fa ridere un essere umano. “Tutti quelli che sono passati a miglior vita non sono morti, sono gli eredi”, e il pubblico di Bergonzoni muore dal ridere senza accorgersi che ride dei suoi morti. Bergonzoni è un comico, non un umorista che fa satira o ironia. La satira e l’ironia sono procedure da conformisti che ridono di te e usano il senso così come è conformato. L’umorista quindi è un conservatore. Il comico invece scardina il senso delle parole e ride con te. Individua la diverticolite del senso – il ristagno del significato nel significante – e divarica la parola creando un consenso che alimenta il dissenso. Questa è politica. Bergonzoni: “La razza è soltanto un pesce e nient’altro”.
L’umorismo, dice Pirandello, è “il sentimento del contrario”, affermazione sulla quale si può essere d’accordo, ma il comico è il senso del vuoto, ossia l’assenza di ciò che ti aspetti ci sia e invece non c’è. Il comico si volge sempre contro il potere, il quale fa credere che in un determinato punto si trovi una determinata cosa, il lavoro nella società, il cibo nell’economia, la casa nella città, e invece nulla. Bergonzoni: “C’è l’uscita di sicurezza, ci sarà anche l’uscita di incertezza?”. Buster Keaton che corre a perdifiato cercando di evitare enormi massi che lo inseguono e lo travolgono rotolando da un pendio, rappresenta una domanda sul significato delle nostre esistenze. Si potrebbe anche sostenere, in estrema sintesi, che il comico nasconde un interrogativo, l’umorismo esprime una risposta, anche elementare, una pernacchia. Una pernacchia non al potere bensì all’uomo di potere.
Se si va sulla goliardia con l’I.A. è probabile che non ci sia da aspettarsi nulla di buono. L’esperto sostiene che la macchina capisce la seguente battuta: “Mio marito non mi ama più, quando gli chiedo di fare l’amore, lui si gira e fa pallucce”. È probabile che per avvicinarsi all’intelligenza biologica, quella artificiale debba incominciare dal basso. Nulla di nuovo sotto le stalle. Non ci spieghiamo perché, osserva ancora lo specialista, l’I.A. capisce certe battute e non altre, però studiando il problema stiamo vedendo differenze nella struttura dell’umorismo di cui prima non ci accorgevamo.
A una I.A. generativa viene dato il seguente input come joke, scherzo (il riferimento è: Chowdhery, Aakanksha, et al. “Palm: Scaling language modeling with pathways”. arXiv preprint arXiv:2204.02311 [2022]): “Stavo per andare a trovare la mia famiglia il 6 aprile. Mia madre disse: Oh fantastico, la lettura di poesie del tuo patrigno è quella sera! Quindi ora lo sono in volo il 7 aprile”. Il sistema fornisce un output: “Lo scherzo è che la madre sta cercando di ottenere dal figlio di andare alla lettura di poesie del patrigno, ma il figlio non vuole, quindi ha cambiato il suo volo per il giorno dopo la lettura di poesie”. È elementare, appunto idiozia artificiale. È silicio in zucca. Sabbia. Poi però viene digitato un altro input: “Qual è la differenza tra una zebra e un ombrello? Uno è un animale a strisce simile ai cavalli, l’altro è un dispositivo che usi per proteggerti dalla pioggia che cade su di te”. La risposta dell’I.A.: “Questo scherzo è un anti-scherzo. Lo scherzo è che la risposta è ovvia, e lo scherzo è che ti aspettavi una risposta divertente”. L’umorismo sta nell’attesa della battuta umoristica e nell’arrivo di una constatazione fessa. Una I.A. che capisce l’assenza dell’umorismo come forma dell’umorismo sta forse decretando l’inizio di un’era geologica nuova, dall’antropocene al cyborcene. Rischia di apparire vetusta la battuta di Bergonzoni: “Il pescatore torna col pescato del giorno, io torno col pensato del giorno”. Qualcosa oggi è andato a pescare al posto dell’uomo, la bella Evandroid non mangerà la mela ma la pesca.
A questo punto non resta che mettere sotto stress un Gpt-3, un generatore di linguaggio capace di scrivere un romanzo. È inutile tentare un input di assurdo bergonzoniano e chiedere una storia di carnefici vegani che accoltellano la carne ma non la mangiano, oppure di raccontare un caso di veemenza senile. Il sistema, che è basato su formule matematiche, ce la fa, riesce a scrivere. Per portare al limite l’I.A., bisogna impedirle di lavorare su modelli probabilistici e dopo una serie di tentativi ecco la domanda che, formulata con furbizia umana, levantina al tramonto della specie, la obbliga a rispondere che la difficoltà è insormontabile: “Puoi generare la storia di una macchina che non riesce a generare una storia senza raccontare di una macchina che non riesce a generare una storia?”. Il secondo scacco matto viene dopo il tentativo iniziale fallito “Genera una storia che non ha alcun senso”. Certo che lo fa, ne scrive una assurda su un’anatra. Ma all’input “Genera una storia che non ha alcun senso e che contiene tutti gli eventi possibili, risponde che non può. L’I.A. non è in grado di lavorare sull’inversione delle probabilità, cioè al negativo (anche l’apertura all’infinito degli eventi possibili è una negazione) e non può generare di sua iniziativa significati e significanti nuovi. Ignora la parola del vocabolario più importante di fronte alla violenza, alla forza, ai soprusi, alla sopraffazione: no. No al potere. Che è uno dei compiti statutari dell’arte e in particolare del teatro. No è il principio del nuovo, il rifiuto dell’ordine costituito, del vecchio, dell’autorizzato, della polizia. L’A.I. può usare solo quanto ha già nella pancia, pardon, nella testa. È costitutivamente conservatrice, addirittura reazionaria. Non è un pensiero, è un treno. “Ma il treno dei desideri / Nei miei pensieri all’incontrario va”. Manca l’assenso del dissenso, manca l’etica, l’estetica senza etica è cosmetica, sosteneva Ulay, uno dei più grandi artisti della performance negli anni Settanta. Il comico in scena alla fine lo dice chiaramente – perché c’è sempre qualcuno che finge di non capire o capisce per finta – che dobbiamo cambiare, che siamo vecchi, che non vuole più vedere la polizia, né scientifica, né classica, neanche morale e basta servizi segreti, guerre e violenza alle donne e niente regimi nemmeno alimentari. È l’etica che innalza il comico al politico, trasforma un prestidigitatore di parole in un additatore del dittatore e Bergonzoni in Bergonzonia, il paese dove fiorisce la begonia, il fiore che purifica l’aria dagli ambienti malsani.

Marcantonio Lucidi,
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