“A che servono questi quattrini” di Armando Curcio, regia di Andrea Renzi, con Nello Mascia e Valerio Santoro. Alla Sala Umberto di Roma
Sotto il cielo di Eduardo
A che servono questi quattrini è stata la commedia più nota di Armando Curcio (Napoli 1900 – Roma 1957) Fu portata al successo dai tre fratelli De Filippo nel 1940 al teatro Quirino di Roma, nei giorni in cui l’Italia entrava in guerra. Due anni dopo, Eduardo E Peppino la riproposero in un film diretto da Esodo Pratelli. Nel cast figurava anche Paolo Stoppa, molto noto già all’epoca.
Il titolo è in scena alla Sala Umberto con la regia di Andrea Renzi e l’interpretazione nel ruolo protagonista di Nello Mascia. Sulla sua pagina Facebook, Mascia racconta un episodio di quando aveva poco più di vent’anni ed era stato scritturato dalla compagnia di Eduardo per interpretare ‘O Nait, un guappo, nel Sindaco del rione Sanità. Sinteticamente, la storia è la seguente: tutte le sere in una scena Eduardo si toglieva l’anello dal dito e stampava in faccia a Mascia un forte schiaffo. Il ragazzo era felice, mica è da tutti recitare al fianco dell’immenso capocomico, anzi davanti, e ricevere da lui un sonoro, teatrale sganassone. Poi però una sera Eduardo si tolse l’anello e gli sfiorò il mento appena appena con i polpastrelli. Niente sberla neanche nelle repliche successive. Come mai? Che è successo? Non gli dà lo schiaffone perché non gli vuole più bene? Il tremebondo giovane osò chiedere un incontro con il Diretto’, come veniva chiamavato in compagnia, il quale lo ricevette in camerino e gli spiegò: “Sentite Mascia. Voi siete ‘O Nait, un guappetiello di quart’ordine. Io sono il Sindaco del Rione Sanità. Alla fine della scena io vi faccio cenno di venire e voi venite. Poi io mi levo l’anello. E poi vi dò lo schiaffo. Da qualche giorno, non so perché, quando io vi faccio cenno di venire, voi venite. Ma vi fermate un passo indietro. Io continuo a togliermi l’anello. Ma non posso fare di più di quello che faccio. Per darvi lo schiaffone bello pesante che volete voi, dovrei fare un passo verso di voi. Ora vi pare mai possibile che il Sindaco del Rione Sanità fa un passo verso di voi che siete un guappetiello di quart’ordine?”.
Si può guardare tutta l’interpretazione degli attori, e in particolare di Nello Mascia, dal punto di vista della prossemica. Tenuto conto anche del fatto che la scenografia è proprio minima, una parete bianca a far da sfondo per un arredamento costituito da un tavolo e tre sedie da osteria (poi arriveranno un paio di poltroncine e poco più), tutto è demandato agli interpreti ed è da loro che lo spettacolo trae forza e piacevolezza. Un trucco per capire la comunicativa di un attore è tapparsi le orecchie (da fare quando si conosce il testo) o comunque ignorarne la voce, il timbro, i toni, che sono degli ammaliamenti. Osservare solo come si muove. Quando Mascia, nel ruolo del marchese Eduardo Parascandolo, incontra Valerio Santoro che fa Vicenzino – il quale “songhe tre mmise ch’hê lassato ‘a fatica” – ha tutto un modo di stare vicino all’altro che indica una gerarchia sociale e culturale, una benevolenza, una concessione di confidenza dell’uomo elevato all’inferiore. Vicenzino chiama Parascandolo, di cui segue la dottrina contro il lavoro e il denaro, Professore (la P maiuscola si vede e si sente) e non marchese, perché il titolo nobiliare creerebbe una distanza che invece viene artificialmente annullata dal riconoscimento di una superiorità intellettuale che instaura una relazione da maestro ad allievo tutto sommato ancor più gerarchica perché volontaria e non stabilita dal ceto. Peraltro questo rapporto fra chi sa e chi non sa è premessa allo sviluppo dell’azione. Quindi non solo occasione per fare ridere ma necessità drammaturgica. Quando poi appare la zia di Vicenzino, Carmela, donna di popolo schietta e concreta, Salvatore Caruso che la interpreta en travesti e Mascia si muovono osservando una prossemica assai diversa, a chiarimento del fatto che lei non si fa incantare dal marchese professore. L’elenco dei personaggi all’inizio del copione teatrale non definisce Eduardo Parascandolo marchese o professore ma sfaccendato. Quando Eduardo informa che possedeva un milione, una fortuna all’epoca, e orgogliosamente aggiunge “L’ho dilapidato, l’ho sperperato”, lei commenta: “E se capisce! Cu chella capa ca tenite!”.
Il professore parla prevalentemente in italiano, altrimenti non sarebbe professore, gli altri personaggi preferiscono il napoletano. Lo scarto linguistico ovviamente è dell’autore che su questa linea viene seguito fedelmente da regista e interpreti, meno sull’integralità del testo: la commedia è stata tagliata d’un po’ di dialoghi e personaggi di modo da stare nell’ora e quaranta di rappresentazione senza intervallo. E questo un po’ dispiace, perché si perdono momenti di napoletanità divertente, però è anche vero che il testo completo forse oggi non vale la sua lunghezza. Anche perché la storia è esile e va presa per come la regia di Renzi sembra averla intesa: un ottimo pretesto per il gioco degli attori e per alcuni bei monologhi sui piaceri dell’ozio e sul disprezzo del vil denaro. Mascia su queste tirate dà il meglio di sé.
Al centro della vicenda c’è un piccolo inganno progettato e realizzato da Eduardo, per metà truffatore, per un’altra metà filosofo stoico, per una terza metà epicureo, per una quarta socratico, scettico, cinico nell’accezione che s’usava per Diogene di Sinope che viveva nella botte. Per dimostrare che i soldi non servono a nulla, il professore fa credere in giro che Vicentino ha ereditato da un parente emigrato in America. Quale meridionale non ha un parente in America? Tutti credono alla panzana, il sarto che chiede pagata la fattura d’un vestito; il proprietario di casa che vuole sfrattare lui e la madre perché non percepisce più la mesata; il fratello di Rachelina, Ferdinando, che si oppone al fidanzamento di lei con Vicentino. Ma ora gli fanno un credito illimitato e il giovane s’è fatto ricco senza avere una lira in tasca. Come spesso succede nelle commedie di tradizione italiana, l’azione è prima di tutto situazione comica: molto sta nelle battute e assai meno nella storia. Attorno al protagonista Nello Mascia e al deuteragonista Valerio Santoro, lavorano oltre al già citato Salvatore Caruso che è una bella maschera senza eccessi farseschi nel ruolo della zia Carmela, Loredana Giordano (Rachelina), Ivano Schiavi (Ferdinando), Fabrizio La Marca (Michele), tutti in parte e con i tempi giusti.