“Quasi amiche”, testo e regia di Marina Pizzi, con Paola Gassman e Mirella Mazzeranghi. Al Manzoni di Roma
Una quasi commedia
Titolo che riecheggia la famosa commedia cinematografica francese Quasi amici, Quasi amiche è un testo in scena al Manzoni di Roma scritto e diretto da Marina Pizzi che si occupa dell’argomento annunciato – l’amicizia fra due donne – ma non delle ragioni, delle cause, soprattutto degli effetti. Gianna e Maria, signore di una certa età, parlano, parlano, parlano tanto, senza che succeda nulla nel primo tempo di cinquanta minuti e poi finalmente verso la fine dei secondi cinquanta minuti, s’abbozza una specie di azione – azione è una parola forte, diciamo una leggera ondulazione – che però si risolve subito perché ormai si sta al quarantacinquesimo.
Per le due protagoniste, Paola Gassman e Mirella Mazzeranghi, tutta questa chiacchiera è una fatica, la stessa d’un criceto nella ruota: non possono mai riposare un attimo all’ombra d’un fatto. Una storia che cammina facilita il lavoro dell’attore, gli permette di farsi portare a dorso della drammaturgia, lo guida nelle scelte interpretative. Poi certamente, a una brava interprete come la Mazzeranghi una simile situazione teatrale permette di dare un saggio della propria abilità a mascherare le lacune di testo e di regia: prende la sua parte di immigrata polacca in Italia da venticinque anni e lavora il blocco di cemento verboso a lei affidato fino a dargli una forma a forza di inflessioni, toni, tempi, controtempi, accenti, movimenti, gesti, mimica, atteggiamenti, posture, guizzi, caratterizzazioni, tutta la valigia dei trucchi illusionistici dell’attore che sa portarsi a casa la serata (come si dice nello smagato gergo dei teatranti). Paola Gassman fa invece conto su una posatezza da interprete di teatro di tradizione e ottiene anch’essa un discreto risultato attraverso l’espediente contrario: invece di lavorare la parte per darle un senso come fa la collega, la sostituisce con se stessa, con l’impressione che dà di sé, calma, signorile, costumata. Il bon ton sostiene il personaggio e cava d’impaccio l’interprete.
Il terzo ruolo femminile, l’inquilina del piano di sopra, è una figura macchiettistica di bambola svampita e sopra le righe inutile alla commedia ma necessaria al pubblico con i siparietti che Maria Cristina Gionta restituisce da caratterista come vuole il mestiere. C’è poi un ruolo maschile, il nipote della signora borghese, affidato a Gabriele Granito, dalle battute fuori tempo, stonate, scoordinati toni e movimenti, incomprensibili le intenzionalità. Ci si chiede come ha lavorato la regia con questo attore. Le manchevolezze sono talmente ampie che non si ha cuore di attribuirle solo a colui che sta in scena.
Quasi amiche è una quasi storia. Non risponde a una quantità di domande: perché le due signore sono amiche? Cosa del loro passato le lega così intensamente? E cosa del loro presente le accomuna, oltre al fatto di vivere nello stesso appartamento? Le tecniche di scrittura drammaturgica per risolvere la commedia stanno in Quasi amici.