“Tradimenti” di Harold Pinter, regia di Michele Sinisi anche interprete assieme a Stefania Medri e Stefano Braschi. Al teatro Basilica di Roma
Pinter non c’è, è andato in discoteca
Lo spettacolo incomincia bene. La prima scena, godibile, testimonia di un’impostazione sicura e verosimile dei personaggi, con quel loro imbarazzo, le parole inutili, le risate forzate, i gesti intempestivi, quando non si sa bene come muoversi, dove mettere le mani. Tradimenti (Betrayal) di Harold Pinter, al teatro Basilica di Roma con la regia di Michele Sinisi anche interprete nel ruolo di Robert, è un classico del Novecento. Storia di due amanti, Emma e Jerry e del marito di lei nonché migliore amico di lui, che si svolge fra il 1977 e il 1968, da dopo la fine della relazione extraconiugale fino all’inizio, andando a ritroso nel tempo. La scenografia di Federico Biancalani aiuta: un grande tabellone sul quale si illuminano le lettere e le cifre a comporre il luogo e l’anno di svolgimento delle singole scene. Una versione moderna dei cartelli da vecchio teatro comico all’italiana che le soubrette mostravano al pubblico attraversando la scena.
C’è una ragione drammaturgica a questo risalire gli anni, non si tratta di una trovata bensì di un congegno narrativo che indica qual è il vero tema stabilito dall’autore: non il dramma dell’amore e dell’infedeltà ma il dramma della memoria. Lo ha spiegato molto bene in un suo saggio dell’85 (Le radici sepolte. Il teatro di Harold Pinter) l’anglista Dario Calimani, il quale è anche presidente della comunità ebraica di Venezia e si occupa di trasmissione della memoria: “Betrayal è il tradimento della memoria che cancella e rimuove i ricordi; è il tradimento del passato a opera del presente; il tradimento del tempo che cambia il significato delle cose, dei sentimenti, delle persone, e delude le aspettative dell’uomo, le sue speranze, le sue illusioni; è il tradimento della ragione che spinge l’individuo a giustificare per sé l’uso di una doppia morale; è il tradimento della realtà, nelle mezze verità/mezze bugie a cui porta l’intricata trama di inganni tessuta dai personaggi”.
Nella pratica dello scontro di coppia, i singoli fatti usati come armi nella battaglia dialettica differiscono radicalmente nel ricordo dell’una e dell’altro, secondo una distorsione in parte naturale ma soprattutto causata da slittamenti forzati di senso in funzione bellica che si cerca di rendere più efficaci con la loro trasformazione in certezze.
Nella prima scena i due ex amanti, che non si vedono da tempo, subiscono il peso di una storia ormai passata e fonte di imbarazzi. Anche le pause in didascalia sono importanti: Jerry – “Mmnn. Quanto tempo”. Emma – “Sí. (Pausa). Ti ho pensato l’altro giorno”. Jerry – “Oddio, perché? (Lei ride). Perché?” Emma – “Beh, è bello, ogni tanto, ripensare al passato, non trovi?” Jerry – Certo. (Pausa). Come vanno le cose?”. Nell’originale di Pinter, i due stanno seduti al tavolino di un pub e bevono. Il dialogo viene così in un certo modo compresso in uno stato contraddittorio di vicinanza fisica e di lontananza interiore. Qui invece il regista decide per una prossemica diversa e tiene gli attori in piedi molto distanziati nell’intento di dare risalto alla situazione. Si perde in intensità e in sottigliezza, si guadagna in evidenza e facilità recitativa. Funziona perché funziona la drammaturgia e perché i due attori Stefania Medri e Stefano Braschi mostrano nei gesti, nelle pause e nelle espressioni l’impaccio, il disagio di trovarsi in una conversazione difficile da governare. Poi però la regia non si limita a qualche cambiamento ma tradisce Tradimenti. Nel testo non si trova la testa di cervo che uno dei personaggi a un certo momento indossa non si capisce per quale ragione; nella scena settima che si svolge al ristorante è stato eliminato il personaggio del cameriere, il quale per numero di battute certamente è un ruolo minore, ma Pinter lo usa con scienza drammaturgica per disturbare strategicamente la conversazione fra Jerry e Robert. I suoi interventi conferiscono al dialogo un ritmo di conversazione continuamente interrotta, cosicché le questioni serie non vengono fuori. Il cameriere interviene quasi a guardia del non detto. C’è tutto un gioco di attori che si perde senza di lui. Il lungo ballo finale di Emma su musiche da discoteca non è previsto dall’autore. Nell’originale la festa si svolge fuori scena, in un’altra stanza della casa di Robert ed Emma, e il luogo dell’azione è la camera da letto. La didascalia di Pinter dice: “La stanza è appena illuminata. Jerry è seduto in ombra. Musica in sottofondo che viene dalla porta”. Invece lo spettatore ha diritto a circa un quarto d’ora di musica ad alto volume e a una scatenata esibizione di dimenamenti da pista del Much More.
Tutto ciò cambia il significato del dramma: non più un tradimento della memoria, un sofisticato studio sulla differenza fra l’inganno e il ricordo, fra la distorsione menzognera del passato come atto volontario e l’alterazione di quello stesso passato come processo inconsapevole, naturale in una mente umana; diventa invece una faccenda di corna (sarà questa la ragione recondita della testa di cervo?) in un contesto di media borghesia intellettuale britannica. Una storia che non necessiterebbe dell’inversione del senso temporale. Inversione che, svuotata almeno in parte del suo significato, appare a questo punto una trovata gratuita e macchinosa.
Gli interpreti, Sinisi compreso, fanno il loro mestiere ma ormai i personaggi hanno perso il significato originale e preso un’altra strada, portandosi appresso gli attori in un Pinter senza Pinter. Anche i personaggi hanno una loro vita, almeno per il tempo della rappresentazione. Ce lo ha insegnato il Novecento, di cui Harold Pinter è uno dei maggiori drammaturghi.