“Persone naturali e strafottenti” di Giuseppe Patroni Griffi, con Marisa Laurito, Guglielmo Poggi, Livio Beshir e Giancarlo Nicoletti anche regista. Al teatro Vittoria di Roma
Vedi Napoli e poi mordi
Esistono grosso modo due tipi di drammaturgie: una che stabilisce una situazione teatrale per lavorarci sopra e l’altra invece per lavorarci dentro. Nel primo caso i personaggi evolvono con la situazione e vanno dal punto A al punto B; nel secondo caso invece marciscono all’interno della situazione (bloccata o mossa molto poco) e involvono da B verso A. In entrambi i casi, se l’autore ci sa fare, l’azione è sempre salvaguardata. Persone naturali e strafottenti appartiene alla drammaturgia diciamo del marcimento, lavoro di un bravo autore quale fu Peppino Patroni Griffi anche se, datato del 1973, risente soprattutto nella seconda metà del primo tempo d’una certa inadeguatezza all’oggi, come se la lavanderia del tempo che passa avesse ristretto il bucato.
La commedia viene messa in scena al teatro Vittoria di Roma con una distribuzione assai interessante di quattro attori i quali, seppur assai diversi fra loro, lavorano bene insieme: Marisa Laurito fa Donna Violante, affittacamere napoletana ed ex serva di casino; Giancarlo Nicoletti (anche regista) interpreta Mariacallas, il femminiello che loca una stanza per la sua attività meretricia; Guglielmo Poggi e Livio Beshir sono rispettivamente Fred e Byron, due omosessuali, il primo uno studente e il secondo uno scrittore nero.
La storia presso i cultori di teatro è nota perché quando lo spettacolo fu messo in scena la prima volta divenne un caso e un successo. Durante la notte di Capodanno, nel vascio di Donna Violante, si ritrovano il femminiello Mariacallas e i due amanti gay. Ora il negro, come con libera scostumatezza linguistica viene chiamato nella commedia, si rivela un sodomita troppo vigoroso e provoca un’emorragia al delicato e decadente ragazzo bianco. Chiaro il gusto provocatorio di Patroni Griffi che ricorre alla goliardata violenta del nero superdotato. Alla battuta di Donna Violante “Magari c’era abituato, ma questa bestia è fuori misura”, Mariacallas chiede “piena d’invidia” (come dice la didascalia) a Fred: “T’ha violentato?” Questo delle dimensioni falliche è un topos degli omosessuali (i “randelli” di Giovanni Testori, per esempio) ma non ne sono certo immuni gli eterosessuali e neanche i razzisti e i nazionalisti anti-immigrati che temono la competizione sessuale. Ora, col tempo la forza scandalosa della commedia è, verrebbe da dire, svirilizzata. Quale vile borghese può oggidì provare sdegno e risentimento per le pratiche omosessuali quando i gay scendono in strada a reclamare il loro diritto a sposarsi? Solo il sottoproletariato culturale degli stadi e delle destre fascio-leghiste potrebbe adontarsi se conoscesse la parola. In un’intervista del 2006, Paolo Poli, magnifico artista della scena oggi purtroppo scomparso, sosteneva che “questo bisogno di tenersi per mano come finocchie contente è roba da psicanalisti. Il bello degli amori omosessuali è la loro libertà e la loro riprovazione. Il matrimonio tra gay non mi interessa, come non mi interessa quello tra uomo e donna. Io voglio seguire l’istinto e la perversione, non tornare a casa e trovare qualcuno che mi chiede cosa voglio per cena. «Caro, ti faccio la besciamella?». Fuggirei subito, con un principe o con un marinaio. Chi vuole l’unione civile e l’iscrizione al registro comunale non se ne intende. Io sì”. Oggi scandalosa, untuosa, viziosa è la besciamella non la sodomia, è la borghesia non la femminella.
La parola chiave sta nel titolo, strafottente, che il vocabolario Treccani spiega così: “Che sente, e soprattutto dimostra e ostenta un’arrogante noncuranza e un provocatorio disprezzo degli altri e delle loro opinioni, che si infischia delle convenzioni sociali e non ha riguardo per i diritti e le esigenze altrui”. La commedia infatti si presta ad essere classista nel suo essere apparentemente interclassista. Il nero, Byron, è uno scrittore, non un cassiere di supermercato Walmart e dimostra di possedere un senso sociale e politico da Black Panther, l’organizzazione per la liberazione degli afroamericani famosissima nel periodo in cui l’autore scriveva questi due atti. Per quanto Patroni Griffi lo dipinga arrabbiato, ribelle e voglioso di distruggere questo mondo ingiusto, il nero è uno di quei tipi giustificati e abbracciati dalla sinistra radical. Il bianco, Fred, è un sofisticato giovane gay delicato, libertario e anticonformista com’era naturale (l’altra parola chiave) incrociarne negli anni Sessanta e Settanta. Questi due, appartenenti a una casta intellettuale, hanno a che fare con Donna Violante e Mariacallas che abitano gli strati bassi della società epperò rappresentano un popolo tutto sommato eccentrico, anarchico, folcloristico, per giunta napoletano quindi culturalmente accettabile e premiante dal punto di vista narrativo. È più facile e fascinoso ambientare una storia agli Spagnoli che a Quarto Oggiaro.
La regia di Giancarlo Nicoletti tende a sedare il movimento oscuro della commedia, la disperazione, la miseria, la cupezza che i dialoghi contengono. Cerca di esaltarne il lato comico, molto aiutato da una brava Marisa Laurito, sempre giusta nei tempi, sempre divertente (ma non sciocca). Nicoletti attore fa del femminiello Mariacallas un soggetto grottesco e un po’ superficiale laddove invece un’indicazione sul personaggio potrebbe stare nella scelta di Patroni Griffi di chiamare allo stesso modo una figura minore d’un suo testo successivo di due anni che era Scende giù per Toledo. In quel romanzo Mariacallas viene descritta così: “Pittata bianca che fa spavento, occhi truccatissimi che schizzano dalla faccia, capelli blu, non aggancia, se ne sta zitta – ha fatto del suo ombelico il centro di un movimento ondulato che si prolunga per le cosce e va a scaricarsi nei piedi. Un qualcosa d’impazienza, d’attesa, che sa di provocazione”. Ecco, non si sente questo nell’allestimento, quell’aria chiusa delle anime zoppe, dei mondi storpi e settici. Il regista ha deciso di alleggerire, mitigare, arrotondare Patroni Griffi e togliere alla commedia il lerciume da vascio dei quartieri Spagnoli (gli Spagnoli di prima che arrivasse la miseria vera, irrimediabile, dei B&B, del turismo in cerca di folklore e delle cene “in un vero basso napoletano”). È stata un po’ gentrificata la pièce e i due personaggi principali continuano ad essere un bianco e un nero però paiono di quelli che prenotano dal telefonino un volo low cost, guardano le recensioni dei ristoranti su Tripadvisor, cenano a lume di candela in un vero basso con le foto di Sofia Loren e di Maradona alle pareti e poi vanno a spicciare i doveri coniugali gay in una camera vicino al Maschio Angioino. Dentro queste scelte di regia ch’essi rispettano, Guglielmo Poggi (Fred) e Livio Beshir (Byron) sembrano stare un po’ stretti. Si intuisce che potrebbero andare molto oltre e scendere nelle profondità dei rispettivi personaggi, dove alberga di tutto e Poggi soprattutto nel secondo tempo esprime una strana leggerezza disperata mentre Beshir lascia fuoriuscire una durezza e una solitudine da uomo proveniente da devastazioni e umiliazioni sanguinose. Ma è come se la messinscena non volesse andare fino in fondo. Per il rischio d’incontrare un altro Peppino Patroni Griffi.