“L’operazione”, testo e regia di Rosario Lisma. Al Piccolo Eliseo di Roma

LOPERAZIONE 3

L’omicidio del critico suicida

L’operazione di Rosario Lisma in scena al Piccolo Eliseo di Roma racconta di quattro attori quarantenni che mettono in prova uno spettacolo su un gruppo di terroristi negli anni di piombo. Stanno in uno spazio sotterraneo a lavorare e parlano, litigano, s’interrogano sulla funzione del teatro, s’incoraggiano, si scoraggiano, si disperano della cronica precarietà del teatrante. Soprattutto brigano per farsi recensire dal critico più potente d’Italia, l’unico in grado di certificare attraverso una recensione la loro esistenza nell’arte e la validità dell’opera. La sospirata presenza del recensore in sala diventa un’ossessione, la sua autorevolezza assume altezze metafisiche, il suo giudizio rappresenta una sentenza divina.
L’argomento dello spettacolo è un po’ vecchiotto, infatti il testo è di almeno un decennio fa e ne risente: sono molti anni che il critico teatrale, il critico di mestiere, ha perso qualunque potere effettivo (questo non è un male) e soprattutto l’autorevolezza intellettuale. Il critico teatrale è morto e i suoi assassini sono molti, fra i quali: i direttori dei giornali, classe ormai quasi interamente costituita da analfabeti di andata prima che di ritorno (vederne uno in sala sembra impossibile); l’incredibile mare di opinionisti da social, in cui chiunque può pubblicare qualunque suo sbrodolamento, tutti sono esperti di tutto e ogni venditore di utensili da cucina si ritiene detentore degli strumenti culturali e del credito necessario ad esprimere un giudizio; gli stessi critici (e qui si tratta di suicidio) che per il presente non dimostrano di avere l’ombra del talento (neanche letterario) dei loro predecessori – Flaiano, Jacobbi, De Monticelli, Prosperi per esempio – e per il passato hanno abusato del loro potere, hanno badato al tornaconto personale, alle prebende, alla direzione di festival, rassegne, manifestazioni, ai posti nelle giurie dei premi, si sono lasciati corrompere economicamente e intellettualmente,  si sono arrogati il diritto di fare e disfare carriere artistiche secondo logiche disoneste o di partito politico. E hanno peccato della colpa più grave per un intellettuale, la codardia. Bisogna tuttavia rilevare che nell’ambito della critica d’arte le cose vanno assai peggio perché girano molti più soldi che nel mondo teatrale.
Al gioco di indovinare quale recensore la commedia evoca attraverso il personaggio dal nome satirico di Marco Mezzasala, si può facilmente pensare a Franco Quadri (scomparso nel 2011 quindi dopo la stesura della commedia). Critico potente, tracotante, partigianesco, capoclan teatrale, Quadri è stato uno dei responsabili maggiori del declino di questo mestiere presso gli artisti della scena e presso il pubblico, nonché promotore di vari fra i peggiori attori, autori e registi della scena nazionale, qualcuno soprannominato “il fante di quadri”. “Quadristi” sono i suoi epigoni e i vecchi sodali, che a quasi dieci anni dalla morte, tentano attraverso un classico schema di tribalismo amorale italiano di esercitare un potere e un peso senza cura della dignità. Fanno quindi un po’ di compassione questi personaggi della commedia di Rosario Lisma ancora intrappolati in un sistema che non esiste più e che quando era in vigore soggiaceva a logiche del tutto traviate rispetto persino al puro e semplice concetto di onestà intellettuale. Vero però che di questo terrore del cipiglioso critico, il quale deterrebbe le chiavi del paradiso e dell’inferno artistici, la gente di teatro è tuttora preda. Segno che in qualche modo la questione è ancora all’ordine del giorno anche se l’impressione resta che si tratti dello spavento dei bambini per il babau.
Proprio della fragilità infantile degli attori lo spettacolo si occupa, delle loro paure, invidie, ripicche, egoismi, egotismi, meschinità, grandezze e miserie morali od economiche. Come agli spettatori assistere a una bella tragedia d’amore, ai teatranti parlare in scena di teatro piace molto. È un argomento dibattuto assai, soprattutto se c’è di mezzo la crisi (del teatro), e sul quale si scrivono drammi da qualche annetto, più o meno dai tempi di Aristofane. Non si può sostenere che L’operazione apporti qualcosa di nuovo, però i dialoghi sono spiritosi, i personaggi appaiono disegnati con abilità, la commedia è gradevole e si lascia mettere in scena con semplicità. La regia è dello stesso autore e questo può essere un non bene (più che un male). A volte è meglio scriverla, magari recitarla come fa Lisma, ma non dirigerla: l’impressione è che qualche occasione s’è persa e che una certa meccanicità della messinscena sia dovuta a un’inevitabile visione univoca della commedia da parte dell’autore-regista. Assieme a lui, lavorano Fabrizio Lombardo, Andrea Narsi, Alessio Piazza e nel ruolo del critico Gianni Quillico. La loro non è esattamente una recitazione naturalistica, ha una leggera vena grottesca che la rende, come dire, naturalesca. E dona leggerezza e gradevolezza a un tema come quello dei critici teatrali che, va detto, fa venire il latte alle ginocchia nelle conversazioni a tavola con i teatranti ed è piacevole alle orecchie come uno stridor di gesso sulla lavagna.

Marcantonio Lucidi,
Stampa Stampa

I commenti sono chiusi.