“Misery” di William Goldman, dal romanzo di Stephen King, con Arianna Scommegna e Filippo Dini anche regista. Alla Sala Umberto di Roma
Per favore, non sparate sullo scrittore
È in scena alla Sala Umberto una delle migliori interpreti del teatro italiano, Arianna Scommegna. Da guardare con grande piacere ma anche da studiare: molto brava in tutto, come va a cercarsi la luce, la gestualità, la voce che in lei è uno strumento raffinato e affinato.
Laddove però è più chiara la sensazione di trovarsi di fronte a una fuoriclasse è nei tempi, sia di movimento che di battuta. Le battute, anche quelle di servizio, cadono sempre nel momento giusto, il quale sovente è anche il più inaspettato. Non è semplicemente una questione di prontezza e di velocità, il segreto sta nella scelta dell’attimo, questo istante e non il precedente o il successivo, nel suo modo di rubare il tempo e di lavorare in controtempo. Il movimento ha le stesse caratteristiche, va osservato nei piccoli gesti e ovviamente nel gioco delle entrate e uscite, interamente affidato a lei visto che in Misery (di William Goldman dal romanzo di Stephen King) dei due protagonisti, uno è sempre a letto o in sedia a rotelle.
S’intravvede tuttavia qualcosa di più nella prova della Scommegna: l’attrice deve interpretare una psicopatica, che è impresa assai complicata per un artista della scena. È difficile rendere credibile un matto, ossia un personaggio che sembra di per sé recitare un personaggio. I matti danno spesso l’impressione di recitare (con molta convinzione evidentemente) il ruolo del matto. Ed è molto complicato per un attore, cioè per uno che finge, fingere di essere uno che sembra fingere. Scommegna evita la trappola dello psicologismo e imposta tutta la sua prova su movimento e tempo di battuta, appunto. Allora la situazione in scena è che Filippo Dini (anche regista) nel ruolo dello scrittore di successo Paul Sheldon è immobilizzato a letto con le gambe rotte a causa di un incidente di macchina. E la pazza infermiera in pensione Annie Wilkes occupa tutto lo spazio, entra ed esce, va e viene, parla e straparla, gira continuamente attorno allo scrittore. La Scommegna è un tipo di attrice che, se necessario, si prende tutta la scena ma senza autoritarismo, mai con piglio da primadonna. Qui proprio l’occasione sarebbe servita su un piatto d’argento di scegliere il servizio alla propria persona piuttosto che allo spettacolo. Lei privilegia sempre il secondo.
Dini comunque è attore di gran presenza e la condanna a letto per buona parte dello spettacolo non diminuisce in nessun modo le sue capacità e la qualità della sua prova, ben sostenuta da una voce importante e interpretativamente elastica, oltre che dallo sfruttamento anche ironico dei deboli movimenti che gli sono concessi da una fascia stretta a un braccio, une flebo all’altro e le gambe steccate. In questo senso la coppia di attori è equilibrata.
Squilibrata è piuttosto la coppia dei personaggi. Si tratta di una questione che riguarda la regia. Annie è una psicopatica che tiene prigioniero Paul, diventato celebre con una serie di romanzi la cui protagonista si chiama Misery Chastain. Nell’ultimo libro, Misery muore. Lei, che ammira e ama lo scrittore, lo ama proprio alla follia, è pronta a ucciderlo se lui non resuscita l’eroina della serie in un nuovo romanzo. In risposta alla lettera di una sua ammiratrice che gli chiedeva un appuntamento, Dino Buzzati scrisse che non bisogna mai conoscere gli scrittori. È bene evitare anche di incontrare le lettrici. La relazione fra l’infermiera e il romanziere è ovviamente insana, patologica, lei lo accudisce, lo cura, gli dà da mangiare, lo tiene prigioniero, lo picchia, lo minaccia con la pistola, gli rompe le caviglie con un mazzuolo per impedirgli di scappare. È una successione di violenze terribili e di momenti addirittura teneri, di rabbia, di urla, di odio e di dolcezza, di complicità, d’amore quasi. Questo rapporto, che non è semplice occasione d’un banale thriller, è costruito a onde, tensione e crudeltà, affetto e gentilezza. La regia privilegia la cresta dell’onda, i toni sono quasi sempre molto tesi, e i passaggi morbidi vengono trascurati oppure attraversati senza por tempo in mezzo. Dini regista ha preferito esaltare gli estremi della pazzia. Si perde la ricchezza delle contraddizioni, del contrasto, della dissociazione. I personaggi, che si potrebbero perlustrare a profondità psicologiche teatralmente interessanti, restano statici nell’attraversamento del dramma, invariati dall’inizio alla fine perché immobile, sempiternamente violento, è l’orizzonte di riferimento del carattere che dà la temperatura del dramma, la donna. Un po’ come se il regista, che coincide con uno dei due protagonisti, non avesse colto tutte le opportunità interpretative degli attori, quindi anche di se stesso.
Inoltre: raccontare è una delle attività che testimoniano della natura umana ma l’idea sottostante il thriller, ossia l’indagine sulla relazione che intercorre fra un narratore e un ascoltatore di storie rimane sullo sfondo, affidato più all’analisi dello spettatore che della regia. Se resta poco sviluppato un aspetto della relazione fra i personaggi, anche i concetti legati a quell’aspetto restano embrionali. A maggior ragione la Scommegna è molto brava, perché sa sfruttare al massimo ciò che l’impostazione registica le consente. Le sue soluzioni interpretative sono sempre a favore dello spettacolo e della messa in scena.
Lavora anche Carlo Orlando nel ruolo dello sceriffo. La scenografia di Laura Benzi che gira su una piattaforma e di volta in volta espone i vari ambienti della casa di Annie la pazza è una soluzione semplice e tradizionale e come tale garanzia di teatralità. Luci di Pasquale Mari che servono a dovere la scenografia e contribuiscono alla necessaria atmosfera di suspense e di pericolo senza far confusione fra il cupo e il buio. Da notare anche la traduzione di Francesco Bianchi in un italiano netto, semplice ma non scadente, adatto al lavoro degli attori.