“Ballantini e Petrolini”, uno spettacolo di Dario Ballantini tratto da Petrolini, regia di Massimo Licinio. Al teatro Off Off di Roma

Ballantini - Petrolini

Ettore il fracchettone

Mario Scaccia faceva Gastone senza la sigaretta, Fiorenzo Fiorentini con la sigaretta, Gigi Proietti lo interpreta senza. Ettore Petrolini invece giocava con il fumo, lo lasciava uscire dalla bocca senza nemmeno soffiarlo, con l’espressione d’un dandy annichilito dalla fatica di non fare niente. Poche cose stancano come la fannullaggine. I Gastone si possono dividere in due categorie: quelli che fumano e sanno che non c’è nulla da fare; quelli che non fumano e sanno che c’è poco da fare.
Dario Ballantini è un Gastone senza sigaretta, un Nerone senza Poppea, però ha una spiccata passione per: il Polo Nord. La cera vergine. Il Nabuccodonosor. Il burro lodigiano. La fanciulla del West. Il moschicida. La cavalleria pesante. I lacci delle scarpe. L’areonatica col culinaria. Il giuoco del lotto. L’acetolene e l’osso buco. Insomma un tipo alla Petrolini, il quale sosteneva di non voler fare il comico grottesco, il comico originale, l’umorista, il fantasista, il macchiettista, il melodioso, il dicitore. “Io voglio fare il comico riposatore, il comico anticomico, il comico che non ha fatto mai ridere nessuno”. E ridevano tutti. Lo spettacolo in scena al teatro Off Off di Roma s’intitola sbrigativamente Ballantini e Petrolini, incomincia con Giggi er bullo e va avanti con personaggi, macchiette e invenzioni d’Ettore, che a tutti ha dato, pure alla televisione che non c’era, e poi se n’è andato a 52 anni nel ’36 “perché me sento n’ friccico ner core” – come dice la sua canzone – “perché ner petto me ce naschi un fiore”. Un “fiore de lillà” che secondo i prontuari di fitoterapia serve a curare l’angina pectoris, la malattia che ha ucciso Fortunello: “Sono un uomo melanconico / sono un amaro tonico”.
Ballantini vuol fare Petrolini e ci dice tutti i salamini, poi si lancia dentro il suo Nerone contr’il volgo grullo e fascistone. “È piaciuta questa parola… pria… Il popolo quando sente delle parole difficili si affeziona… Ora gliela ridico… Più bella e più superba che pria”.  Della piccola gente Petrolini sapeva tutto, era un popolano del miglior lignaggio, come diceva di se stesso. Venne al mondo nel 1884 a via Giulia, precisamente nel palazzo d’angolo con vico del Grancio. Strada di plebe all’epoca, Via Giulia, dove sta il teatro Off Off, che se Petrolini la vedesse oggi, diventata “centro storico” per patrizi senza storia, monterebbe su questo palcoscenico il suo Amleto e col teschio di Yorick puntato in platea, rimerebbe il suo sfottò al pubblico distinto: “Se qualche volta in festa io ballo / La mia compagna mi pesta un callo. / Monto in vettura muore il cavallo”.
L’attore tutto ciò fa come si deve malgrado sia di Livorno e all’inizio, quando spiega agli spettatori un po’ della biografia di Petrolini, vengono le orecchie grinze a sentire la calata toscana e ci si chiede come farà a stare di parlata non si pretende monticiana, ché al rione Monti Ettore abitò pischello, ma almeno di Grotte di Castro, ch’è alto Lazio. Ed invece quando poi l’attore s’aggiusta davanti a uno specchio di camerino i suoi travestimenti e mascherate e si gira a fare le petrolinate, l’Arno scompare e si sta sul Tevere. Lo spettacolo è montato dalla regia di Massimo Licinio in modo elementare ma sufficiente a fare la serata: brevi monologhi esplicativi, in cui Ballantini offre considerazioni sue e informazioni su Petrolini, alternati ai pezzi comici con accompagnamento alla fisarmonica di Marcello Fiorini. “Sono sempre ricercato / per le filme più bislacche, / perché sono ben calzato, / perché porto bene il fracche”. Usare la parola “comico” per Petrolini è come dare del clown a Charlie Chaplin o del buffone a Totò. Petrolini, l’anticonformista, contestatore, innovatore, il sovversivo, ribelle è stato il più grande fracchettone della scena italiana del secolo scorso. E del secolo in corso, almeno fino ad oggi, purtroppo, e Ballantini sa che uno spettacolo così si fa un po’ per celia, un po’ per non morire.

Marcantonio Lucidi,
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