“Miseria e nobiltà” di Eduardo Scarpetta, regia di Luciano Melchionna. Con, fra gli altri, Lello Arena. Al teatro Eliseo di Roma
Vedi Napoli e la regia muore
Esistono le regie che si occupano dello spettacolo e le regie che si occupano di se stesse. Alla seconda categoria appartiene la messa in scena di Luciano Melchionna della famosa commedia di Eduardo Scarpetta Miseria e nobiltà in scena all’Eliseo di Roma. Melchionna firma anche “l’ideazione scenica”, a suggerire che l’idea l’ha avuta lui e che lo scenografo Roberto Crea l’ha soltanto realizzata (quindi è incolpevole): nel primo atto il palcoscenico è interamente occupato da una serie di ringhiere che imprigionano gli attori e li costringono a camminare carponi, a scavalcare per andare da una parte all’altra, ad arrampicarsi, a traballare. Nessuno spazio per muoversi con agio e nemmeno per manifestarsi al pubblico, ché qualcuno ha la testa nascosta dalle sbarre della ringhiera.
Siccome nelle note dello spettacolo sta scritto che questo ambiente sarebbe “uno scantinato/discarica/sottoscala, mai finito e mai decorato, dove si nascondono istinti e rifiuti, tra le ceneri della miseria proliferano e lottano per la sopravvivenza i personaggi”, si può pensare che si debba apprezzare una “ideazione scenica” pensata quale metafora di una povertà carceraria. Esempio perfetto di come una trovata registica possa essere dimostrativa ma non rappresentativa, ossia antiteatrale al punto da rivelarsi controproducente per lo spettacolo e per gli attori, costretti a badare più a se stessi che al personaggio. Eppure gli interpreti, primo fra tutti Lello Arena nel ruolo di Felice Sciosciammocca, sono bravi, si vede che sanno fare assai bene un testo principe della tradizione teatrale napoletana con tutto quello che comporta in termini di recitazione, tempi comici, movimento, ritmo. Ficcarli in un’ambientazione dark perché la regia si deve vedere e far vedere, altrimenti che ci sta a fare un regista, tanto varrebbe rimettersi al capocomicato d’antan, suggerisce un sospetto: alcuni metteur en scène temono la tradizione in quanto conterrebbe un pericolo di teatro filodrammatico difficile da schivare. Quindi lo fanno strano. Una mano sicura invece sa come salire alla classicità senza ruzzolare nell’amatoriale delle compagnie di provincia campana. Soprattutto quando si hanno a diposizione interpreti di tale mestiere.
Tuttavia le scelte di regia si iscrivono nella libertà del regista, il quale si spiega così nelle sue note: “Ombre si dice siano, queste maschere, ombre potenti. E le ombre trovano di nuovo i loro corpi avanzando lentamente quasi a riempire gli spazi bidimensionali di una proiezione del passato, un filmino in bianco e nero, fino a strappare la tela dello schermo gigante e ridare consistenza e spessore umano ai personaggi e alle cose”. “Riempire gli spazi bidimensionali”, “strappare la tela dello schermo gigante”. L’importante è che le scelte di regia, non sindacabili in quanto tali, siano poi coerentemente perseguite lungo tutto lo spettacolo. Nei due atti successivi invece, il dark praticamente se ne va – anche se la regia insiste e resiste – le ombre scompaiono, c’è troppo sole nella commedia, stanchi di tanto buio si vuole stare alla luce, e si assiste a un altro spettacolo perché tutto sommato Scarpetta non è Jean Genet né Fassbinder.
La didascalia in testa al secondo atto, che vale anche per il terzo, recita: “Salotto in casa di Don Gaetano. Mobili dorati, un divano, due poltrone, sei poltroncine. Due mensole con specchi, orologio e candelabri. Nel centro della camera pende un lampadario. Molte corbeilles di fiori sono sparse per la scena, e tutte recano il biglietto da visita del donatore. Un tavolino con occorrente da scrivere, campanello a timbro e album di fotografie. Porta d’ingresso in fondo, quattro usci laterali, da uno dei quali – il secondo a destra del pubblico – si accede in giardino”. In scena non c’è nulla di tutto ciò, solo l’evocazione di un bel salone vuoto, però bisogna aumentare le luci, fare aria e spazio, altrimenti non sarebbe più miseria e nobiltà ma squallore e scadimento. La regia voleva mangiarsi la commedia, Scarpetta si è mangiato Melchionna. Capita ai registi di non fare lo spettacolo del momento, ma il precedente, magari quello che avrebbero voluto fare, o il successivo, quello che vorrebbero fare.
Bravi gli attori, che conoscono il loro mestiere e dimostrano che lo spettacolo, alla fin fine, appartiene a chi va in scena. Tutti da citare: oltre a Lello Arena lavorano Maria Bolignano, Tonino Taiuti, Giorgia Trasselli, Raffaele Ausiello, Veronica D’Elia, Marika De Chiara, Andrea de Goyzueta, Alfonso Dolgetta, Sara Esposito, Carla Ferraro, Serena Pisa, Fabio Rossi, Fabrizio Vona.