“The deep blue sea” di Terence Rattigan, regia di Luca Zingaretti, con Luisa Ranieri. Al teatro Argentina di Roma
Com’è british il teatro della chiacchiera
Certi drammaturghi sono al teatro come i gigolò all’amore: sanno come si fa, lo fanno tutti i giorni ma non sanno cos’è. Il dramma che l’inglese Terence Rattigan (1911 – 1977) scrisse all’inizio degli anni Cinquanta, The deep blue sea, in scena all’Argentina di Roma con la regia di Luca Zingaretti, protagonista Luisa Ranieri, racconta di una donna della buona società che ha lasciato il marito, facoltoso giudice dell’Alta Corte, e si è messa con un ubriacone assai più giovane, un contadino ex pilota della Raf.
Le cose non vanno ed è ovvio perché se una signora matura s’innamora di un giovinastro disoccupato e alcolizzato, non si può credere un solo istante ch’ella abbia raggiunto le dorate porte del paradiso in Terra. Certamente nella vita può succedere, anche che un’impiegata delle poste s’infatui di uno zingaro domatore di cavalli al circo, ma la mania del realismo produce situazioni che a teatro non stanno in piedi se non per la benevolenza dello spettatore. Insomma la signora ha il vizio di suicidarsi con il gas fin dalla prima scena e se il colpo le fosse riuscito subito, ci si sarebbe risparmiati una commedia della chiacchiera sui sentimenti quasi totalmente priva di azione con dialoghi del tipo: “Nooo, tu non volevi il mio amore, tu volevi una moglie amorevole. C’è una differenza immensa”. Illuminante la precisazione sulla differenza immensa. O ancora: “Cosa c’è oltre la speranza?”. Risposta: “La vita”. Caspita, questa sì che è alta filosofia, raffinata sintesi d’una profonda riflessione sulla condizione umana.
Si potrebbe andare avanti per un pezzo a prendere in giro il povero Rattigan, quindi non ne vale la pena, sarebbe come sparare alla Croce Rossa. Portare dalla vita sulla scena le sempiterne, noiose, piccole schermaglie amorose fra uomo e donna, non le nobilita di per sé a meno che non si abbia il genio e l’ironia di un Goldoni. Rattigan ebbe successo fino all’inizio degli anni Sessanta ma erano arrivati i “Giovani arrabbiati” alla John Osborne e stava incominciando la swinging London. Da quel momento, Rattigan, che certo non amava i tempi nuovi, fu considerato più o meno una vecchia zia e si ritirò alle Bermuda. Ora è oggetto di un po’ di revival a Londra, ma siccome in Italia s’è avuta la rivalutazione nostalgica persino di Alvaro Vitali, allora non si può certo stigmatizzare gli inglesi per il fatto che si ricordino del loro Terence. Per gli americani ognuno ha diritto al suo quarto d’ora di celebrità nella vita, in Europa anche nella morte.
Comunque, a Luca Zingaretti il testo è piaciuto tanto, lo scrive nel programma di sala. Il regista ha preso un ottimo scenografo, Carmelo Giammello, che realizza una scena impeccabile e piena di dettagli raffinati (per esempio, dalla porta d’ingresso dell’appartamento si vede la scala condominiale che sale ai piani superiori e che verrà utilizzata da uno degli interpreti nell’unico momento veramente topico in due ore); chiama un altrettanto bravo datore luci, Pietro Sperduti, e circonda la protagonista Luisa Ranieri, attrice dal vero e riconosciuto talento, di un gruppo di interpreti fra i quali il migliore appare Aldo Ottobrino nel ruolo dell’ex dottor Miller radiato dall’albo.
Quindi non un’opera questo spettacolo, ma un’operazione di un certo standing, dalle caratteristiche che si vogliono high profile, per dirla all’inglese, comprovate dalla scelta di mantenere in cartellone il titolo originale: The deep blue sea. Evidentemente la traduzione “Il profondo mare azzurro” non suonava abbastanza international. Chissà perché allora hanno recitato il dramma in italiano. Operazione comunque messa in scena e recitata con mestiere, ma dal testo d’una chiacchiera così tediosa che ci si chiede se tutti quei ragazzi l’altra sera in sala, liceali o giù di lì, ci torneranno ancora, a teatro.