“Not not not not not enough oxigen” di Caryl Churchill, regia di Giorgina Pi, con Aglaia Mora, Xhulio Petushi e Marco Spiga. Al teatro Belli di Roma

Not not not

Distopia non è artificio

Una Londra distopica in un testo di Caryl Churchill datato 1971 ma ambientato nel 2010, ossia otto anni fa. Quindi per noi dei giorni d’oggi è già il passato. Come la drammaturga britannica immaginava all’inizio degli anni Settanta il futuro di quattro decenni dopo? Londra è una città ormai talmente inquinata che manca l’ossigeno. Gli abitanti vivono in angusti monolocali, non possono aprire le finestre e per respirare comprano delle bombolette di aria pura da rilasciare nelle loro stanzette.
Nato come radiodramma, Not not not not not enough oxigen è un testo interessante perché ricorda come già in quei tempi lontani in cui fu scritto vi era la percezione del disastro ecologico. In Italia esisteva all’epoca un’associazione ambientalista nata nel ‘69 che si chiamava “Kronos 1991” – divenuta poi “Accademia Kronos”, dove il 1991 indicava l’anno di non ritorno dalla catastrofe ambientale se l’umanità non fosse corsa ai ripari. Poi le cose sono andate per le lunghe più del previsto. Ora che i guai sono sotto gli occhi di tutti, riprendere il dramma di Churchill serve anche a ricordare ai criminali organizzati della politica, del petrolio, dell’industria e della finanza che l’allarme era stato già lanciato almeno mezzo secolo fa. I criminali non possono dunque sostenere che non sapevano e ci si chiede che tipo di punizione dovrebbe essere impartita ai responsabili del rischio di estinzione della specie umana, e in generale della vita sul nostro pianeta, in special modo ai politici che dovrebbero governare e provvedere in favore del bene comune e che invece si sono macchiati di colpe superiori a quelle dei nazisti.
Messo in scena al teatro Belli di Roma dalla regista Giorgina Pi, interpretato da Aglaia Mora, Xhulio Petushi e Marco Spiga, il testo racconta di una pop star, Paul, che va a trovare il padre Mick. Assieme a loro una donna, Vivian, che vorrebbe vivere con Mick ma in quel monolocale non ci sono spazio e ossigeno a sufficienza per due. Nel frattempo, le strade di Londra sono invase da “rivoluzionari”. Il questo mondo di protesta, povertà, degrado, disoccupazione, è vietato generare più di un figlio. Per un eventuale secondogenito sono necessari il permesso del governo e il pagamento di una tassa. Il padre non vede il figlio divenuto famoso da molti anni salvo che alla televisione, e spera che i soldi guadagnati dal giovane lo salveranno dall’inferno in cui vive. Ma questo è un dramma sull’invivibilità umana e ambientale, quindi ogni speranza è vana.
La regia di Giorgina Pi, forzata e artificiale, non aggiunge teatralmente nulla alla qualità del testo. Gli attori recitano davanti a dei microfoni che penzolano dal soffitto. Perché? Forse si allude al fatto che il testo nasce come radiodramma, ma la regista ha deciso di portarlo in scena e non in studio. I due attori mostrano una recitazione naturalistica, pur in un’ambientazione antinaturalistica, ma all’attrice Aglaia Mora viene chiesto invece di bambineggiare con la voce stridula per cinquanta minuti. Vorrà forse dire che il personaggio femminile è il più alienato e sofferente dei tre. Chissà, misteri della fede registica. Le luci, basse, livide, rappresentano invece l’ovvietà di un contesto distopico e catastrofico. Peccato, il testo c’era.

Marcantonio Lucidi,
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