“Farà giorno” di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, con Antonio Salines, Fabrizio Bordignon e Francesca Bianco. Al teatro Belli di Roma
L’idiota e il comunista
Un buon vecchio trucco drammaturgico è di mettere sul palcoscenico due psicologie opposte e inconciliabili, bloccare la situazione di modo che non possano uscirne – altrimenti lo spettatore potrebbe chiedersi per quale motivo non vanno ciascuna per la propria strada – e raccogliere in termini di azione i frutti del conflitto.
Al teatro Belli di Roma, Farà giorno di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi è un dramma in due tempi che racconta di Manuel, fascistello borgataro romano, e di un anziano signore, Renato, comunista, ex partigiano. Manuel ha investito Renato con la macchina e siccome non ha la patente, propone al ferito di assisterlo a domicilio pur di non essere denunciato. Il rapporto fra i due parte dal reciproco disprezzo, dall’incomprensione, dalla distanza culturale, politica, generazionale, e inevitabilmente (anche un po’ prevedibilmente) evolve verso un mutuo riconoscimento. Nel secondo tempo arriva la figlia del vecchio comunista, Aurora, che per decenni si è rifiutata di vedere il padre. Anche lei è una ex, con una militanza nella lotta armata e un po’ di anni di galera a causa del genitore che a suo tempo l’aveva denunciata alla polizia. Naturalmente Aurora trova in casa il fascistello, quindi adesso il gioco non è più a due ma a tre.
Tutto è assai moralistico, i dialoghi fra il vecchio e il giovane sono improntati a una pedante didattica di sinistra, il luogo comune del ragazzotto fascista analfabeta, più quadrumane che umano, è largamente utilizzato e moltiplicato dal secondo luogo comune del comunista colto, idealista e progressista. Ora, il guaio è che gli imbecilli stanno da tutt’e due le parti e negli ultimi trent’anni a sinistra hanno proliferato in modo inaspettato. Ai vecchi tempi, nelle famiglie di socialisti si insegnava che un fascista cretino è una tautologia, un cretino di sinistra una contraddizione. Questa è una delle ragioni per le quali l’accumulo di idioti e di conseguenti idiozie che la gauche ha prodotto nell’ultimo quarto di secolo rappresenta una colpa storicamente molto grave.
Il finale è lacrimevole e, come si dice, “telefonato” ma lo spettacolo è sorretto da un grande interprete, qui anche regista, Antonio Salines, che eleva il vecchio partigiano a personaggio di spessore e potenza. Lo conduce in un’evoluzione psicologica sempre credibile e riesce a trasformarne la carica retorica e pedagogica nella sofferenza comprensibile e condivisibile di un uomo che ha visto il mondo scivolare dal versante peggiore. Molto bravo Fabrizio Bordignon nel ruolo del borgataro, il cui penoso stato di insufficienza mentale assume i tratti di uno studio antropologico. È un attore capace di una prova non semplice: interpretare in modo intelligente un cretino. Aurora è affidata a Francesca Bianco, la quale cerca di complicarsi anche le cose facili, appare sempre in tensione, sempre alla ricerca di qualcosa che non c’è, e insomma non sembra mai ricordare che recitare è jouer, to play, giocare.