“Vincent Van Gogh – L’odore assordante del bianco” di Stefano Massini, regia di Alessandro Maggi. Con Alessandro Preziosi. Al teatro Eliseo di Roma
Un quadro non basta a fare un pittore
Il povero Vincent Van Gogh cercava l’arte ed è diventato una parte. È stato trasformato in un tipo fisso del marketing internazionale per grandi eventi, esposizioni globali, “multimedia experience”, spot di automobili e fiction con presentazioni annuncianti “toccanti dialoghi tratti dagli scritti originali del celebre artista”. Al gigantesco ceto medio irriflessivo dei nostri anni che ormai sa tutto sui girasoli e poco sul giallo di cromo, piace assai il folkloristico accoppiamento di arte e follia. È rassicurante l’idea che nell’artista alberghi il matto, è una forma di excusatio (non petita) per chi non è artista.
Stefano Massini ha scritto Vincent Van Gogh – L’odore assordante del bianco, attualmente in scena all’Eliseo di Roma, occupandosi molto della pazzia del pittore e poco della sua arte. Ha chiuso il personaggio nel manicomio che sta appena fuori Saint-Rémy de Provence – dove Van Gogh passò un anno, dal maggio 1889 al maggio 1890 – e lì dentro lo ha fatto ammattire con allucinazioni e crisi di nervi. Domanda: in cosa il protagonista del dramma di Massini è Van Gogh e non un povero Mario Rossi, un Vacondio, un Brambilla fuor di senno a forza di passare carte in un ufficio, se si fa astrazione d’un po’ di dialoghi sulla pittura col fratello Theo e con il direttore del manicomio? Di pittura qui si parla con una sapienza oggettivamente appena superiore al foglio illustrativo di una scatola da gioco “Divertiamoci a colorare”. Ogni tanto il protagonista brandisce una tela per mostrare che sta nell’arte ma un quadro purtroppo non basta a fare un pittore. Come un personaggio non è sufficiente a fare un attore. Seppure Alessandro Preziosi nel ruolo principale offre una prova interessante. Chissà, forse è anche merito del regista Alessandro Maggi che nel programma di sala spiega così la sua idea del grande artista olandese: “In una spaccatura in cui domina la sola logica della sinestesia, nella quale ogni senso è plausibilmente contenitore di sensi altri, modulandone infinite variabili, Van Gogh è significante e significato di sé stesso”. La sinestesia evidentemente è riferita al titolo L’odore assordante del bianco, che ai maliziosi può fare pensare all’effluvio di detersivo nel rumoroso cestello di una lavatrice che lava così bianco che più bianco non si può. Quanto a “significante” e “significato”, di sé stesso per giunta, qui si sta nella linguistica teatrale, nella semantica del personaggio, e quando Van Gogh dipinse il famoso autoritratto significava significativamente la significazione del significato significante. Però non bisogna fidarsi troppo delle note di regia: vi è scritto che Van Gogh fu internato “nel manicomio di Saint Paul de Manson” ma i luoghi si chiamavano e si chiamano Saint-Paul de Mausole, come è scritto sul sito internet della clinica psichiatrica, tutt’oggi in attività. Anche in un estratto del testo, rintracciabile su internet e scaricato dal sito stefanomassini.it, si indica il “Manicomio di Saint-Paul-de-Manson”. Allora l’azione si svolge forse in un’altra casa di cura e Van Gogh non è Van Gogh ma Van Magog.
Interprete solido è Francesco Biscione nel ruolo del dottor Peyron, direttore del manicomio. In scena anche Massimo Nicolini a fare Theo, Roberto Manzi, Alessio Genchi e Vincenzo Zampa.