“Werther a Broadway”, uno spettacolo di Giancarlo Sepe al teatro La Comunità di Roma

Werther a Broadway

Goethe al Potutipitipi di New York

Come al solito, è sempre meglio uno spettacolo non perfetto di un grande regista come Giancarlo Sepe che uno spettacolo riuscito di un regista mediocre. Nel primo caso comunque qualcosa si impara, nel secondo si spara.
Nel teatro La Comunità di Roma dove opera, Sepe ha messo in scena la sua ultima creazione, Werther a Broadway, terzo spettacolo di un trittico sugli Stati Uniti negli anni Quaranta e Cinquanta (i precedenti s’intitolavano Washington Square e Abecedario americano). L’idea è la seguente: Werther, il giovane doloroso di Goethe, fugge dalla Germania e dalla sua passione senza speranza, da Lotte di cui è perdutamente innamorato, e va a New York, finisce in un teatro di Broadway nel quale si rappresenta uno dei più bei drammi sentimentali dell’Ottocento, Non si scherza con l’amore di Alfred de Musset, romantica e disgraziata storia fra due cugini, Camilla e Perdican. Da qui incomincia Sepe che è un artista di visioni e di musiche, un illusionista teatrale dall’anima distillatrice di meraviglioso scenico, un regista-coreografo con un profondo senso delle geometrie, della spazialità, che agisce sul collettivo degli attori come se si trattasse di un solo individuo e sul singolo interprete come fosse un collettivo. Sempre alla ricerca di una coerenza stilistica, estetica, poetica, è anche uno stregone delle luci, capace di sortilegi fosforescenti in un palcoscenico dall’architettura e dalle dimensioni che negano quasi tutto e a lui permettono quasi tutto.
Poi però, per capire quanto si dice in scena, s’ha da essere poliglotti o in alternativa munirsi di vari voluminosi dizionari. Perché lo spettacolo è in italiano, inglese, francese e tedesco. E per analogia ricorda un aneddoto che raccontava Giorgio Mantici, un importante sinologo già professore all’Orientale di Napoli: poco più che ventenne si era già laureato, esordiva nella carriera accademica e parlava cinese, francese, inglese, latino oltre naturalmente a intendere il greco classico. Ricevette una telefonata di Mario Praz al quale avevano parlato bene del giovane talento. Il grande anglista gli offriva di partecipare a un gruppo di ricerca e per una mezz’oretta gli spiegò in cosa consisteva il lavoro. Improvvisamente gli fece una domanda per lui scontata, giusto per sincerarsi: “Lei naturalmente parla il tedesco?”. E Mantici, preso di contropiede, balbettò: “No, il tedesco no”. “Ah, mi scusi – replicò il sommo – la credevo uomo di cultura. Come non detto. Buona giornata”.
Ora è vero che Sepe usa le lingue anche come strumenti di ricerca del suono, ma siccome Mantici il tedesco non lo sapeva, persino a lui sarebbe sfuggito un bel pezzo dello spettacolo. E per cogliere le varie citazioni seminate dal regista, bisogna conoscere benino de Musset e ricordarsi che in Non si scherza con l’amore si possono rintracciare gli echi della relazione fra Alfred e George Sand. Magari riesce utile anche rivedere il film Cabaret con Liza Minnelli che lo spettacolo di Sepe sembra evocare. Tuttavia il programma di sala di Werther a Broadway indica che l’azione è ambientata negli anni Cinquanta mentre la pellicola è del ‘72 e la vicenda si svolge nel ’31 a Berlino. Bisogna trovare gli anni Cinquanta e Broadway. Per fortuna il musical teatrale da cui il film deriva fu messo in scena proprio a Broadway, purtroppo però nel ’66 e per giunta si ispira al romanzo di Christopher Isherwood Goodbye to Berlin, che è del ‘39. Broadway è nel sacco ma mancano ancora i Cinquanta. A pensarci, è vero che tutto nasce con Isherwood ma in effetti Cabaret è tratto da I am a camera, dramma di John Van Druten, il quale si ispira a Goodbye to Berlin. E I am a camera è del ’51. Ci siamo. Enigmistica culturale.
Sono giochini divertenti – giusti o sbagliati a questo punto non importa – ma poi, al di là della gran tecnica di Sepe e della sua raffinata estetica, dalla scena qualche delucidazione al popolo in platea bisogna pur concedere. Altrimenti si può fare anche uno spettacolo in samoano. Come si dice alle Samoa teatro? Potutipitipi. Heute Abend nous allons to the potutipitipi?

Marcantonio Lucidi,
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