“Ombre folli” di Franco Scaldati, regia e interpretazione di Enzo Vetrano e Stefano Randisi. All’India di Roma
Una stella dove andare a morire
Testo inedito di Franco Scaldati, eccellente drammaturgo e regista palermitano, un magnifico fiore teatrale spuntato nella Kalsa e purtroppo scomparso nel 2013, Ombre folli non è propriamente un dramma, piuttosto una sorta di racconto scenico, una lirica drammatizzata, un Verbo in movimento nella vita di un’umanità dispersa che Enzo Vetrano e Stefano Randisi interpreti e registi hanno offerto al teatro India di Roma.
“ ‘Na giajrna stiddha iu sugnu, c’u mussu pittatu”, io sono una pallida stella, con la bocca dipinta. Enzo Vetrano parla in palermitano e Stefano Randisi traduce, poi al contrario, a Randisi il dialetto e a Vetrano l’italiano. E questo dire due volte è una lenta, atemporale navigazione nelle lingue, nei suoni, nei ritmi interpretativi, come se invece di prendere l’aereo, che non insegna a guardare, non spiega la terra e gli uomini, si decide di salire su un treno per appoggiare gli occhi al finestrino e osservare un paese che passa.
Si muore a poco a poco, uno spegnersi piano piano dentro un’aria troppo densa, dentro una sofferenza primitiva: un uomo, vecchio, consumato, molle quasi nel proprio abbandono in una poltrona, ricorda della sua passione clandestina di travestirsi e andare in giro a distribuire fellatio per poi sbudellare le sue gratificate vittime, se esse lo riconoscono. Un assassinio sacrificale che lo travolge di piacere. Anima maledetta e in un certo qual modo candida, un cormorano dalle ali pesanti e nere di un petrolio che è la sozzura di un’umanità costretta nella propria bestemmia. Il secondo uomo scopre la doppia vita del primo ed ora è venuto il suo turno di raccontare: sequestra lo sventratore di vite, lo sottrae al peccato, lo strappa all’ignominia per obbligarlo alla vergogna, alla rinuncia, alla castrazione. Ora sono due vecchi, sono la colpa e la redenzione, sono gli oppressi di un cattolicesimo sudista, implacabile, plumbeo e abbacinante, ombre nere create da un sole violento che promette un cielo e mantiene un inferno.
E sono grandi uomini di teatro, Vetrano e Randisi, allegorici, due temerari della lentezza, filferristi della parola, acrobati del silenzio. Servi di un unico padrone, Franco Scaldati, poeta degli esseri estremi e degli esclusi irredimibili, del buio d’anime d’uomo, di quell’oscurità calda e così fredda che si trova in Sicilia, isola battuta da un vento di fiamme che calcina le ossa e raggela gli spiriti. Perché il grande caldo e il grande freddo, il deserto di sabbia e il mare artico, sono lo stesso luogo dove andare a morire.