“A casa di Nathalie”, testo e regia di Alessandro Capone. In scena al Ghione di Roma
Molte telefonate per nulla
Deve essere l’irresistibile desiderio di stare sul palcoscenico, di lavorare a teatro, di recitare ad ogni costo, altrimenti non si spiega cosa spinga gli attori a interpretare certi testi. E deve essere l’acritica certezza che la commedia funzionerà a convincere l’autore a terminarla e persino dirigerla. A casa di Nathalie, quasi due ore senza intervallo scritte e messe in scena al Ghione di Roma da Alessandro Capone, offre una situazione più consunta d’un tappeto di sala d’aspetto dal dentista: una compagnia teatrale deve provare uno spettacolo, nel caso un “noir” americano, quindi ci sono il regista, gli interpreti, una maggiorata che naturalmente provocherà la gelosia dell’altra attrice, la Nathalie del titolo, infine il cameriere d’un bar con l’aspirazione di darsi all’arte. È la vecchia storia del teatro nel teatro, dei teatranti che mettono in scena il loro essere teatranti.
Si incomincia con una prova a tavolino e si finisce al termine della prova a tavolino. Nel frattempo non è successo nulla. Si litiga un po’, si scherza un po’, si mangia, si fuma, ogni tanto il datore luci fa qualche cambio, ci si alza, ci si siede, si dice qualche battuta del noir, si chiacchiera molto al cellulare, si profferisce qualche parolaccia, gli attori si guardano in cagnesco, quelli che fanno solo teatro disprezzano quello che lavora anche nelle fiction, poi arriva la telefonata del produttore che dice delle cose da non rivelare perché si tratta di un colpo di scena telefonato. Quindi se ne vanno tutti salvo i due che devono baciarsi e far trionfare l’amore come dalle più rosee previsioni (telefonate) di inizio spettacolo.
L’allestimento presenta comunque un aspetto stupefacente: c’è chi ha veramente nutrito speranze in un testo siffatto, originale come una telenovela brasiliana, dai dialoghi sobri e importanti quanto un cinepanettone anni Novanta. La speranza è l’ultima a morire, il primo è lo spettacolo. In scena lavorano, perché in effetti lavorano e faticano con le battute che hanno a disposizione, Matteo Fasanella, Francesco Guzzo, Rossella Infanti, Giorgio Lupano, Giampiero Mancini, Emanuele Propizio, Ruben Rigillo, Francesca Valtorta.