“Ring” di Léonore Confino, regia di Massimiliano Vado anche interprete assieme a Michela Andreozzi. Alla Cometa di Roma

Ring

Quadrato d’amore

Dalla Francia continuano ad arrivare film e drammaturgie che denotano la vivacissima attività culturale di quel paese. Ring è un testo di Léonore Confino, autrice di poco più di trent’anni, che ha avuto molto successo a Parigi ed è stato messo in scena alla Cometa di Roma con la regia di Massimiliano Vado anche interprete assieme a Michela Andreozzi.
Ben accompagnata da Vado, Andreozzi è un’attrice piuttosto brava, dotata di presenza scenica e di notevoli tempi comici: possiede un senso della battuta, un modo di trattarla che la rende sempre efficace. Anche se la sua carriera non è priva di riconoscimenti, ci si chiede perché un’artista che ha le capacità per brillare nel teatro brillante non venga maggiormente utilizzata dal nostro sistema teatrale e cinematografico. Domanda retorica naturalmente in un paese che da molti anni ha sviluppato un’incredibile forza trituratrice dei propri talenti. Senonché i francesi, per quanti problemi possano avere, si guardano bene dall’autodistruzione e restano una delle maggiori potenze culturali del pianeta, con buona pace degli italiani e dei loro rappresentanti politici inetti che fanno la figura dei fessi e perdono un sacco di soldi sui mercati mondiali della cultura e dello spettacolo.
Ring non è un capolavoro ma un buon testo di quella produzione media che un paese ha il dovere di promuovere perché dalla vastità di proposte di buona qualità sorgono le opere innovative e d’eccezione, se non si vuol fare come in Italia dove, per esempio in ambito sportivo, nascono Adriano Panatta nel tennis e Pietro Mennea nella velocità e poi più niente o quasi, tanto si ritiene che basta tirar fuori un fuoriclasse dal cappello per vivere di rendita mezzo secolo. Léonore Confino non racconta niente di nuovo sul tema della coppia e mette in scena i soliti buoni, vecchi scontri fra l’uomo e la donna a cui tutti siamo abituati dai tempi di Adamo ed Eva. Che sono quelli da cui parte lo spettacolo, con il maschio e la femmina primigeni indaffarati a beccarsi su un ring, da cui il titolo. Sul quadrato di boxe passano una decina di coppie, tutte interpretate da Andreozzi e Vado, impegnate in round di lotte amorose fatte di tradimenti, fughe, colpi di fulmine, e attrazioni, repulsioni, dispute: la coppia nei suoi vari stadi di progresso e regresso, che è il tema più sceverato e analizzato e studiato nella storia dell’umanità eppure resta un bel mistero.
Confino ha drammaturgicamente un istinto scaltro nell’orientarsi in quella foresta di banalità che si erge di fronte a chi affronta un simile argomento. Riesce a sviluppare un suo modo originale e ironico di scrivere sull’amore ai tempi del Duemila e di porre con leggerezza la sempiterna inevasa domanda su due creature così diverse come la donna e l’uomo, come l’olio e l’aceto, la curva e la retta, il cerchio e il quadrato, spinte a tentare la quadratura del cerchio o la cerchiatura del quadrato amandosi e battendosi per fare coincidere le superfici, sapendo per giunta che è impossibile. Eppure la meraviglia sta lì, il piacere è sempre lo stesso, nei secoli dei secoli, e il mistero irrisolto. Nell’inesauribile massa di centinaia di milioni di aforismi che l’uno e l’altra si sono scambiati da quando vi è memoria storica, se ne possono scegliere due. Il primo di Sigmund Freud: “La grande domanda a cui non è mai stata data risposta e alla quale io non sono mai stato in grado di rispondere, a dispetto di trent’anni di ricerca sull’animo femminile, è: cosa vuole una donna?”. Risponde indirettamente, naturalmente senza rispondere, Coco Chanel: “Un uomo può indossare ciò che vuole. Resterà sempre un accessorio della donna”. Da ciò si può trarre una conclusione, forse persino certa: l’uomo ha una domanda, la donna è una domanda.

Marcantonio Lucidi,
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