“Macbeth” di Shakespeare, regia e interpretazione di Franco Branciaroli. All’Argentina di Roma
Non c’è nulla per cui arrabbiarsi
Si vorrebbe che il Macbeth diretto e interpretato da Franco Branciaroli all’Argentina di Roma non fosse mai stato fatto. Si vorrebbe che questo spettacolo di un tedio e di una inutilità irrimediabili venisse cancellato dal percorso artistico di un attore e regista che ha dato in passato ben altre prove del suo talento teatrale. Si vorrebbe che la mania del caravaggismo illuminotecnico desse pace ad artisti e pubblico perché è stato talmente sfruttato in scena da essere diventato come la Marilyn Monroe di Andy Warhol, buona per essere appesa negli autogrill della Roma – Milano. Si vorrebbe che ci fosse un’idea, anche sbagliata, anche assurda, insensata, bolsa, ridicola, retorica, scopiazzata. Così, tanto per chiacchierarne.
Si vorrebbe poter dire qualcosa di questo allestimento di due ore e venti minuti (intervallo compreso, però) che non dice nulla e si pone al di sotto della soglia minima per discuterne, salvo voler conversare del lampadario dell’Argentina o discettare della noia che, come scrive Baudelaire, “ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo”. Ma non c’è niente di cui parlare e, quel che è peggio, nulla per cui arrabbiarsi.