“Prigionieri al settimo piano” di Maria Letizia Compatangelo, regia di Donatella Brocco, con Gianna Paola Scaffidi, Rosario Galli ed Elia Paniccia. Al teatro dei Conciatori di Roma.

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Lassù, dove il fango è più alto

Prigionieri al settimo piano è una nuova pièce di Maria Letizia Compatangelo strutturata in modo piuttosto tradizionale, quasi un esercizio di tecnica drammaturgica sulla falsariga della commedia americana. Una raccolta di opere dell’autrice fu pubblicata nel 2010 sotto il titolo riassuntivo di Teatro dell’inganno che definiva una precisa tendenza poetica, dove l’inganno è, soprattutto, quello della parola, portatrice di un tradimento, posata come un’ombra sulla verità del mondo e degli uomini.
Questo testo, in scena ai Conciatori di Roma, si caratterizza invece per la linearità della vicenda che racconta e si pone quindi come progetto di un’altra scrittura, l’adozione di una mano drammaturgica diversa rispetto alla produzione passata (oppure come una parentesi: questo lo diranno le opere future). Anche se Prigionieri al settimo piano ha contenuti di indagine sociale che sono abituali per la Compatangelo, lo si può considerare un esperimento dal punto di vista compositivo, come d’un pittore che usasse una tecnica a spatola a lui inconsueta.
Il motore dell’azione parte in ritardo rispetto all’aspettativa dello spettatore e magari alla sua impazienza di vedersi servire il piatto, che sarebbe lo scatto di una situazione che l’autrice volontariamente tiene ferma un certo tempo per motivi strategici, per grande attenzione alla costruzione dei personaggi, con il rischio che la commedia possa fermarsi se la regia non dà ritmo alla messinscena. Infatti è la seconda parte dello spettacolo, quando l’azione si avvia, la meglio riuscita, nella quale peraltro gli attori – in particolare Gianna Paola Scaffidi e Rosario Galli – si svincolano dalle necessità di un dialogo intimistico-familiare, quel battibeccare quotidiano dei coniugi di lunga data che soprattutto Galli regge con maggior fatica di Scaffidi, in special modo nel controllo dei toni. Ossia, a volte strilla troppo per le dimensioni ridotte del teatro dei Conciatori. Ma l’azione lo farà più naturale, più sicuro nei suoi punti di riferimento interpretativi.
Lei è Mariuccia, traduttrice di libri per l’infanzia; lui è Pino, professore universitario che non è riuscito a vincere il concorso da ordinario a causa del fangoso clientelismo accademico. Vivono in un appartamento di loro proprietà al settimo piano di un palazzo comprato da una società immobiliare di speculatori delinquenti che hanno sfrattato tutti gli altri condomini e intrapreso dei lavori di ristrutturazione di cui adesso chiedono economicamente conto per la loro quota-parte ai due protagonisti. Una cifra che non si possono permettere, quindi Pino e Mariuccia si sono rivolti alla banca per un prestito che tarda ad arrivare. Nel frattempo, i banditi mandano un loro minaccioso tirapiedi, Angelo (interpretato con bel vigore da Elia Paniccia), a minacciarli e intimidirli. Viene fuori, anzi entra nell’appartamento, un mondo di ferocia e criminalità che decisamente contrasta con questa coppia di sofisticati membri del ceto medio riflessivo messi nei guai da quella particolare confluenza tutta italiana di crisi economica e di degradazione civile che ha già segnato i due coniugi per via di una truffa della banca ai loro danni tramite i prodotti finanziari sui quali avevano impegnato i risparmi. I due insomma sono circondati da quella particolare razza di maiali che devasta la società italiana, orfana di istituzioni severe, affidabili e attente ed invece ridotte a trogolo da quegli stessi maiali. E qui sta il senso civile dell’autrice.
Quanto succede a questo punto non deve essere rivelato per non togliere allo spettatore il sorprendente procedere della vicenda. Basti sapere che quanto avverrà è frutto di un lavoro di ricerca della Compatangelo sul funzionamento dei meccanismi finanziari e bancari che dà un peso realistico a tutta la commedia.
Gianna Paola Scaffidi è un’attrice di buon mestiere dotata di presenza scenica ma in alcuni momenti la sua prova appare squilibrata, senza che ciò possa essere ascritto chiaramente all’interprete o a un difetto d’impostazione della regia di Donatella Brocco. Per esempio, potrebbe esserci del tenero a un certo momento fra Mariuccia e il giovane Angelo, forse per sincera attrazione, forse in nome di un tentativo di rabbonimento dell’aggressivo e cinico tirapiedi. Ma la mano di lei sulla coscia di lui arriva all’improvviso, non preceduta da un’evoluzione nel rapporto fra i due personaggi e da una determinazione delle loro intenzionalità. Nella realtà un tale accadimento può essere vero ma in scena è meglio che sia verosimile. L’effetto è di rendere incongruo quello che poteva manifestarsi come un sottile gioco di seduzione interessata. Il testo insomma offre delle opportunità più sofisticate di quanto lo spettacolo riesca ad esprimere. Ed evidentemente la lentezza della prima parte poteva essere risolta in sede di messinscena con quella brillantezza registica e interpretativa, quella rapidità nei tempi e nei ritmi, con quel divertirsi di due attori in felice e solidale competizione che costituiscono insomma il meraviglioso, gioioso gioco del teatro.

Marcantonio Lucidi,
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