“Camera con vista” dal romanzo di E. M. Forster, regia di Stefano Artissunch. Con Paola e Selvaggia Quattrini e Mauro Santopietro. Al teatro Ghione di Roma.
E la pudibonda Albione s’innamorò
La grandezza degli artisti è di affrontare con incoscienza sfide impossibili che quella stessa incoscienza rende possibili. Portare per la prima volta a teatro il romanzo di Edward Morgan Forster Camera con vista, che James Ivory tramutò in un film vincitore di tre Oscar, è un’impresa che vale la pena di osservare con curiosità, seppure è inevitabile un pizzico di scetticismo all’ingresso in sala. Invece la regia di Stefano Artissunch, sulla traduzione e adattamento di Antonia Brancati ed Enrico Luttmann, si rivela un esempio di come certe operazioni sulla carta azzardate possono funzionare se si hanno in mente una visione e un tono generale coerenti.
La storia è nota: una ragazza inglese, Lucy Honeychurch, soggiorna a Firenze in una pensione assieme alla sua più anziana cugina Charlotte Bartlett. E lì incontra il giovane George, figlio del signor Emerson, tutt’e due piuttosto eccentrici e dai modi considerati inopportuni dalla morale dei tempi di Re Edoardo VII. Quando la fanciulla torna nel Surrey, promessa sposa di Cecil, incontra di nuovo George e dopo una serie di peripezie si compie il loro destino d’amore. Un romanzo intimista, tutto di atmosfere, di sguardi, di non detti, di ritrosie e di audacie amorose, di sofisticati richiami alle regole inglesi primonovecentesche del vivere in società.
Artissunch in sede di regia risolve con mano fantasiosa alcune difficoltà di messa in scena che il cinema per sua natura considera banali: il momento dell’omicidio al quale la ragazza assiste mentre visita in solitudine la città; la gita collettiva in carrozza per un pic-nic sulle colline di Fiesole; la partita a tennis. Non sono cose particolarmente difficili a teatro ma vanno montate con naturalezza, evitando che lo spettatore faccia il confronto con le scene cinematografiche. Tuttavia il paragone con il film di Ivory si fa nell’ambito del ritmo della rappresentazione: il cinema si può permettere dei tempi lunghi che il teatro non ama perché, malgrado le apparenze, il vero regno dell’azione è il palcoscenico e non la pellicola. Il regista invece in certi momenti sembra essere condizionato dai tempi dilatati di Ivory, al punto che Paola Quattrini, nel ruolo di Charlotte Bartlett, da attrice esperta quale è sembra a volte desiderosa di rendere più veloci i passaggi in cui può agevolmente agire in questo senso. Quattrini è un’interprete all’italiana deliziosamente antinaturalistica e con un gran senso dell’ironia nei confronti del carattere a lei affidato. Lo rende sfizioso fino a un attimo prima di farlo diventare lezioso ed è questo il suo gioco: vedere fin dove può spingere e divertire e arzigogolare, seducendo senza cadere nelle moine. È un tipo di interpretazione umoristica molto femminile e mobile ma al contempo fermo nel controllo del personaggio. Selvaggia Quattrini possiede il physique du rôle per fare Lucy – alta, sottile, bella presenza – ma recita piuttosto che interpretare e non risponde alla domanda: quale può essere la sensualità, la femminilità, di una fanciulla edoardiana? O, in alternativa: come l’attrice vede questa ragazza inglese del primo Novecento che durante tutta la vicenda cammina verso la propria autonomia di donna ribellandosi infine al perbenismo borghese dell’epoca in cui vive? Sotto questo profilo Mauro Santopietro sembra più sicuro, più pronto al ruolo e costruisce il suo George, fisicamente piuttosto presente, sulla traccia di uno di quei ragazzoni britannici in fuga da chissà quale mistero londinese che si sarebbero potuti incontrare nell’India di Rudyard Kipling.
Il maggior pregio di questa regia è comunque di avere puntato soprattutto sulla compattezza della formazione di attori come soluzione centrale per definire la densità del mondo borghese di cui Lucy fa parte. Ed è questa vischiosità di regole, di convenzioni, di censure che formano la prigione sociale in cui la ragazza è rinchiusa a dare forza e significato alla sua liberazione. Quindi lavorano tutti bene, nel segno di una coerenza interpretativa dell’intero spettacolo: Stefano De Bernardin è Mr Emerson, Evelina Nazzari fa la madre di Lucy, ad Alessandro Pala Griesche è affidato il ruolo di Mr Beebe, Stefano Tosoni è Cecil.