“L’inquilina del piano di sopra” di Pierre Chesnot, regia di Stefano Artisunch, con Ugo Dighero e Gaia De Laurentiis. Al Golden di Roma

La macchina del vuoto

L’inquilina del piano di sopra di Pierre Chesnot è una tipica macchina teatrale francese dentro la quale non c’è quasi niente. Non è semplice da scrivere questo genere di commedia brillante perché si fonda unicamente sul meccanismo, sulle entrate, le uscite, gli incontri, gli scontri, la velocità nello scambio di battute. Tanto poi quello che si dice non ha una grande importanza, non c’è materia da far girare nella macchina, e la trama è pretesto per giochi di parole, di teatro, di recitazione. Queste commedie sono giochi che vanno allestiti e osservati come tali, intrattenimenti puri per serate scacciapensieri. I francesi sono dei maestri nel non dire nulla facendo finta di dire qualcosa di straordinariamente importante.
Però queste sono macchine pericolose perché basta poco, un rallentamento del ritmo, un rilasciamento della tensione, una scena montata male o una porta che s’apre fuori tempo, e la commedia si sgonfia come il soufflé, altra non casuale specialità francese, e diventa un’insopportabile palude di vuoto. Questo è un regno dell’allegria prima ancora che dello sghignazzo e il trucco non è tanto quello di far ridere ma di tenere lo spettatore sempre ai bordi della risata. Che è esattamente quello che riesce a Ugo Dighero, in scena con la coprotagonista Gaia De Laurentiis al teatro Golden di Roma
.La vicenda è elementare: in pieno agosto, quando a Parigi non c’è nessuno, Sophie s’aggira nel suo appartamento colta da crisi esistenziale, amorosa, femminile. Al punto che vuole suicidarsi. Al piano di sotto vive Bertrand, un professore di storia burbero e solitario che passa il tempo a costruire marionette, pupazzi e piccoli automi. Un parigino come molti, con la solita mania del bricolage. Lei nel tentativo di uccidersi, inonda d’acqua la casa di lui. E così Chesnot fa incontrare i suoi personaggi con questo risibile stratagemma. Dopo una chiacchierata telefonica con un’amica, Sophie in cerca d’una direzione da dare alla propria vita, decide di conquistare e rendere felice il primo uomo che incontrerà. S’apre la porta e appare Bertrand. Questa storia delle porte nella scena francese meriterebbe un meditabondo saggio su come un oggetto nato per la tutela della riservatezza personale diventi al contrario lo strumento per squadernare i fatti degli altri fino a fondare un’intera tradizione teatrale. Senza una porta ben oliata, niente teatro brillante d’oltralpe. A maggior dimostrazione che a Parigi, un po’ schizofrenicamente la gente non sa mai se essere molto aperta o ben chiusa. Quel che segue nella commedia è ovvio: Bertrand è addirittura misogino, oltreché totalmente privo di fascino maschile, ma Sophie si intestardisce e lo corteggia come una ballerina del Moulin Rouge davanti a un diamante di Van Cleef & Arpels a place Vendôme.
Dighero si prende tutta la commedia sulle spalle, le dà ritmo, scioltezza, brillantezza e conduce a un discreto risultato anche Gaia De Laurentiis, la quale, a onor del vero, è un po’ rigida, soprattutto nei passaggi monologanti. Ma quando c’è lui le cose si animano e va ascritto all’attrice di lasciarsi trasportare dal suo compagno di scena. Certo, ci si chiede cosa avrebbe potuto fare Dighero con una di quelle interrpeti da boulevard alla Marthe Mercadier che sono delle tempeste in un bicchiere di champagne. Tuttavia la coppia in scena funziona e merita gli applausi finali. Lavora anche Laura Graziosi che poche cose fa ma con brillantezza e senso dell’umorismo. Regia di Stefano Artisunch che sa come trattare questo piccolo capolavoro parigino del nulla che nulleggia.

Marcantonio Lucidi,
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