“Prima della bomba” di Roberto Scarpetti, regia di César Brie. Al teatro India di Roma
Sotto una mezzaluna infertile
Il tema di Prima della bomba, testo di Roberto Scarpetti messo in scena all’India di Roma da César Brie, è sinteticamente la gioventù bruciata. Ed essa brucia di volta in volta sulla combustione del materiale che costituisce il progetto di rinnovamento delle nuove generazioni, l’individualismo esistenzialista negli anni Cinquanta, la libertà negli anni Sessanta, la politica nei Settanta. Scarpetti mette in luce la radicalizzazione islamista che occupa oggi le menti di un certo numero di ragazzi e ragazze in Europa, non soltanto di origine maghrebina e mediorientale, ma cristiani che si fanno musulmani.
Il procedimento drammaturgico è di raccontare la storia a ritroso, dall’attimo in cui il protagonista, un convertito, sta per fare esplodere la bomba in una carrozza della metropolitana fino a prima della sua adesione all’Islam, quando è ancora un giovane come tanti, né più né meno scosso di altri dalle turbolenze interiori della sua età. Narrare al contrario è in questo caso un buon stratagemma perché permette di concentrare l’attenzione dello spettatore non sulla conseguenza finale, che sarebbe risultata “telefonata” come si dice, ma sul percorso che conduce alla così drastica e difficilmente comprensibile decisione di farsi esplodere e di provocare una strage. Quando poi si va a mettere in scena un simile dispositivo narrativo, le cose si complicano un po’, perché è inevitabile, è nella natura umana, che la domanda dello spettatore sia focalizzata su come va a finire, ed è questa tensione che rende piacevole in chi guarda e ascolta lo scorrere di un dramma, cioè di una successione di domande e risposte parziali che conducono alla risposta finale. Vale persino per l’Amleto, di cui l’universo mondo conosce (o dovrebbe conoscere) l’epilogo. Allora è la regia che risolve il problema (d’altronde ogni soluzione, come questa per esempio del raccontare all’indietro, genera un nuovo problema determinando l’avanzare dell’ingegno umano): César Brie lo fa montando le scene in modo inaspettato. Quando per esempio vuole visualizzare l’indottrinamento del nuovo fedele, Davide diventato Ibrahim, mette uno degli attori dietro il protagonista a muovergli le braccia e le mani a mo’ di marionettista. Al momento in cui Davide bisticcia a colpi di messaggini con la fidanzata, il cellulare è tenuto con una mano da un altro attore il cui braccio disteso i due litiganti si scaraventano alternativamente in faccia. Sono cose minime, semplici ed efficaci che fanno molto “terzo teatro” (terzo perché, per dirla in modo breve, alternativo sia alla tradizione che all’avanguardia). Pur stando all’interno della serietà che l’argomento impone, Brie mette in scena il testo su uno sfondo grottesco, adatto a una drammaturgia che potrebbe peccare di cronachismo e non assurgerebbe naturalmente a una dimensione del tragico che è pur sempre metaforica. Così facendo, impedisce a qualche pesantezza del testo di predominare. Soprattutto, usando il grottesco come elemento prospettico, però con leggerezza, senza cadere nel didascalico né ideologizzare, il regista assume una posizione critica e la trasmette allo spettatore. Questi ragazzi vivono nel pallore freddo di una mezzaluna infertile, di un Islam che per loro non è una via verso il divino, ma un malinteso mortale che genera oscurità delle menti e distruzione dei corpi.
È un modo di fare un teatro autonomo che non entra in competizione con i reportage giornalistici e rende vivi i personaggi. Se ne sentono le motivazioni, se ne comprendono le architetture mentali, si percepisce di quale stoffa sono fatti. A questo punto per gli interpreti l’impegno si semplifica perché sono messi nella condizione di agire in un contesto chiaro nel quale il collettivo può muoversi con coerenza. Lavorano quindi tutti bene: Umberto Terruso nel ruolo di Davide, Catia Caramia (la madre del protagonista), Massimilano Donato nel ruolo di Karim (anch’esso convertito), Andrea Bettaglio (Rafiq, fondamentalista afgano), Marco Rizzo (Matteo, amico di Davide).