“Thanks for vaselina”, drammaturgia di Gabriele Di Luca, uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo

Thanks for Vaselina (ph.L.Pozzo)

Ai bordi di un fiume di liquami

Lo spettacolo messo in scena al Piccolo Eliseo di Roma dal gruppo Carrozzeria Orfeo è talmente pieno di parolacce che a un certo momento il turpiloquio non si sente più. Svuotate di significato dalla ripetizione, le volgarità diventano oggetti di un arredamento linguistico deteriorato, come cicche nei bicchieri di plastica e bottiglie di birra vuote accanto a materassi buttati per terra. Lo stesso titolo Thanks for vaselina rimanda a un’oscenità, qui intesa come sodomizzazione sociale di una famiglia che non ha trovato niente di meglio per sopravvivere che coltivare in casa marijuana da esportare in Messico dove gli americani stanno bombardando tutte le piantagioni di droga. Grottesca arte di arrangiarsi, rovesciamento delle logiche commerciali, come tentare di vendere mutande su una spiaggia di nudisti.
Sono tutti tragicomici i personaggi e ridicolmente piagati da un vizio della personalità, esseri scarrupati e scassati dentro che paiono bambolotti meccanici spastici: la madre, Lucia, è una cinquantenne ludopatica appena uscita da un centro di disintossicazione dal gioco, il padre adesso si chiama Annalisa ed è un transessuale affiliato a una setta esoterica che aspetta l’Armageddon, il figlio Fil è afflitto da un cinismo nevrastenico e disperato, l’amico Charlie è un animalista fissato che si strugge per la sorte dei polli d’allevamento, Wanda è un’obesa sentimentale senza maschi vieppiù schiantata da un corso di autostima fallimentare. In famiglia manca soltanto un chihuahua alcolizzato con il complesso del nanismo.
Ora, questo interno di reietti della società che ha deciso di trasformare Wanda in un corriere con la droga nascosta nel retto, è una piccola discarica della colossale paccottiglia di illusioni e speranze prodotte dal potere, dall’informazione, dalle religioni apocalittiche; una pattumiera di tutto il falso che c’è in giro, il cattivo gusto del politicamente corretto, il bigottismo del buonismo e dell’impegno civile, le truffe delle finte diete e del biologico taroccato: un enorme squallore che si rovescia nella piccola tana di questi perdenti come un fiume di liquami. Critica sociale e di costumi filtrata da una commedia apparentemente divertente che genera una risata livida, uno sghignazzo stonato, uno stridore di coltello sui denti.
Da osservare attentamente l’interprete della madre, Beatrice Schiros, un’attrice dai tempi comici velocissimi, precisa, spietata, un cecchino della battuta. Maneggia la parola come un’arma e quando è in scena, l’azione prende una coloritura più freddamente sanguinosa e farsesca. Francesca Turrini è Wanda che lavora su una svampita leggerezza deliziosamente in contrasto con un corpo imponente, mentre Ciro Masella (il transessuale Annalisa) è una fitta composizione di nervi, di lineamenti tirati, di disperazione e isteria. Massimiliano Setti è Charlie, patetico personaggio sperduto nel caos generale, sballottato dagli eventi, mentre il figlio interpretato da Gabriele Di Luca (a cui si deve la drammaturgia oltre a una regia a sei mani assieme allo stesso Setti e ad Alessandro Tedeschi), cerca di essere l’elemento di equilibrio di una situazione che altro non può fare se non cadere e rotolare via nei bassifondi di una società grottesca come un MacDonald’s allestito nella cupola di San Pietro.

Marcantonio Lucidi,
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