“China doll – Sotto scacco” di David Mamet, con Eros Pagni, regia di Alessandro D’Alatri. All’Eliseo di Roma
Il telefono più veloce del West
Come si recita in modo naturalistico lo fa vedere Eros Pagni nel nuovo dramma di David Mamet China doll, titolo italiano Sotto scacco, in scena in questi giorni all’Eliseo di Roma con la regia di Alessandro D’Alatri. Pagni non si scompone, non altera il suo modo di recitare di fronte a un testo che mette in scena una realtà così com’è. Non cerca un naturalismo di maniera, anche un po’ truffaldino, per cui l’attore deve diventare la copia di un personaggio esso stesso copia di una persona, sicché a forza d’andar per copie si finisce dentro il falso. Pagni ambisce a ben altro, ambisce all’autenticità che si trova in quello speciale punto di equilibrio grazie al quale la personalità dell’interprete non si sovrappone al personaggio né si nasconde dietro, anzi sotto, di esso. A farla breve, Eros Pagni è un bravissimo attore che stabilisce con il ruolo un rapporto simile a quello che corre fra un grande pittore e un ritratto, un rapporto fra intime originalità. Allora la sua prova diventa autentica, unica. E David Mamet, che ha scritto China doll per l’interpretazione di Al Pacino (andato in scena in prima assoluta nel dicembre scorso al Gerald Schoenfeld Theatre di Broadway) avrebbe potuto altrettanto tranquillamente pensare il dramma per Pagni.
Poi siccome la fortuna ci vede benissimo, ecco che la storia di Mickey Ross, ricco magnate della finanza, un capitalista delinquente che razzola nella politica, corrotto e corruttore, avido animale della truffa ed evasore fiscale, arriva proprio nel momento dello scandalo internazionale dei Panama papers e dell’inchiesta nazionale sul petrolio. D’altronde, di questi tempi, qualsiasi momento è buono per mettere in scena individui simili. L’azione si svolge nell’ufficio di Ross che si è innamorato di una ragazza e le ha comprato un jet privato da 60 milioni di dollari in Svizzera per evitare le tasse d’acquisto del fisco americano. L’aereo è costretto a un atterraggio d’emergenza in Canada e lì la fidanzata viene fermata alla dogana e per giunta c’ è da pagare un’imposta da cinque milioni di dollari. La trappola non è fiscale ma politica, l’affarista ha dato fastidio al candidato alla corsa per la Casa Bianca.
In effetti si tratta di un dramma telefonico perché i due atti si svolgono in un gran vortice di chiamate con avvocati, amici e gente varia che potrebbero aiutare Ross a uscire fuori da un impiccio in grado di portarlo alla rovina: la lotta all’evasore è la foglia di fico che nasconde una lotta per il potere fatta di accordi, ricatti, mazzette, strumentalizzazione e raggiro degli elettori. Attorno al protagonista si muove il giovane sottosegretario tuttofare Carson – interpretato da Roberto Caccioppoli – che fra una telefonata e l’altra subisce le arrabbiature, gli insulti e le parolacce del padrone. Caccioppoli deve svolgere un lavoro impari di fronte al protagonista ma ha il vantaggio di un ruolo subalterno che gli permette di nascondere un’inevitabile subalternità interpretativa nei confronti di Pagni. Però il finale a sorpresa sta nelle sue mani e qui forse si nota un difetto nella costruzione del personaggio perché Carson è per tutto lo spettacolo troppo dimesso, troppo insospettabilmente soggiacente per apparire veramente credibile quando attuerà la sua rivolta etica.
Comunque il godimento dello spettatore, voluto e calcolato da Mamet, sta nell’osservare questo mascalzone arrogante di Ross sempre più serrato nella morsa che prevedibilmente lo disintegrerà. Ma nel testo c’è una stranezza che proprio il finale a sorpresa renderà più evidente: coperta dalla critica al mondo dei ricchi, si sente una sorta di insistenza per il mito americano del self-made man, dell’uomo della frontiera che lotta per farsi strada con ogni mezzo, anche il più abietto. La Colt del selvaggio West è stata sostituita dal telefono; il processo di selezione della specie si fa mediante la lotta; la scalata al successo è attività riservata ai più scaltri, ai più forti, ai pistoleri con la ragazza che rifiuta di viaggiare in diligenza, cioè su un aereo di linea, e pretende il jet privato.
L’epilogo è aperto, il cowboy della finanza, il telefono più veloce del West, se ne va, non senza avere commesso un altro delitto, forse verso il saloon a bere whisky dopo il duello, forse in una galera a mangiare fagioli. Quel che resta comunque di questo testo è che nella percezione collettiva, anche negli Stati Uniti, le parole “politica” e “finanza” stanno diventando sempre più sinonimi di “criminalità”.