Anna Bonaiuto in “La belle joyeuse”, monologo di Gianfranco Fiore su Cristina Trivulzio principessa di Belgioioso

belle_joyouse_foto anna bonaiuto

Un personaggio in cerca d’autore

Niente di meglio in tempi economicamente più duri del solito per la produzione teatrale che i monologhi femminili su personaggi storici. Costano poco, s’allestiscono in un batter d’occhio e se l’attrice gode di una qualche notorietà, richiamano anche un po’ di pubblico.
Anna Bonaiuto al teatro India di Roma fa Cristina Trivulzio, la famosa principessa di Belgioioso (Milano, 1808 – 1871), donna quasi leggendaria, una vita di avventure e di rivoluzioni. Amica di Lafayette, di Musset, Balzac, Liszt, Chateaubriand, grande dame che teneva a Parigi un suo famosissimo salon dietro la rue du Faubourg Saint-Honoré, in seguito patriota che organizza un drappello di 160 uomini e con loro corre da Napoli, dove si trovava, a Milano a dar man forte agli insorti delle Cinque giornate del ‘48. E l’anno dopo sta in prima linea durante la battaglia a difesa della Repubblica Romana. La sua è di quelle formidabili esistenze ottocentesche romantiche e idealiste che fanno la gioia d’ogni biografo. Infatti di biografie su di lei ne sono stati scritte almeno sedici. Quella teatrale restituita dalla Bonaiuto, intitolata La belle joyeuse, è di Gianfranco Fiore, anche regista dello spettacolo, un testo costruito secondo il principio dell’accumulo, un catino di informazioni più simile a una tesi di laurea che a un monologo per la scena, una specie di muro di citazioni dotte che fanno capire quanto l’autore sia bene informato sull’argomento. “Pas assez de citations” scrivevano ironicamente i professori di letteratura dei licei francesi a margine di temi zeppi di riferimenti a cose d’altri e poveri di idee proprie. La Bonaiuto – vestito lungo nero con strascico adatto alle serate d’onore delle attrici di buona fama d’un tempo – sciorina la vita di questa magnifica figura dell’Ottocento italiano ed europeo con lo stesso fascino che si risente alla lettura della voce di Wikipedia, peraltro ben redatta, a lei dedicata.
Uno spettacolo di questo tipo dovrebbe rispondere a una domanda e scansare un pericolo. La domanda: come evitare che gli spettatori si chiedano perché mai stanno in sala e non a casa a leggere un buon saggio sulla Belgioioso? Il pericolo: che quegli stessi spettatori si convincano di non perdersi nulla se durante lo spettacolo si mettono a pensare ai fatti loro.
La differenza fra una voce enciclopedica e un monologo teatrale sta nell’idea che l’autore e l’interprete offrono di un personaggio, in questo caso una magnifica milanese che a un certo punto molla tutto, la patria, i salotti, i fucili, le speranze di libertà, e se ne va a impiantare un’azienda agricola in Turchia dove per ironia della sorte viene accoltellata da un bergamasco. Cosa li avvince di un personaggio siffatto e del tempo nel quale ha vissuto? La principessa che fa la rivoluzionaria? La donna che fa l’uomo? L’intellettuale idealista che fa la guerra? Non si capisce. Lo spettacolo avanza come una specie di resoconto recitato previa stesura di un compitino cronologicamente ordinato. Tuttavia l’arte dell’attore ha di straordinario che si può applicare a qualsiasi testo, persino al menù di un ristorante e alla lista degli ingredienti per fare i frollini. Ma bisogna essere Vittorio Gassman. Anna Bonaiuto neanche stavolta ha sciolto l’enigma. Essa è una grande attrice o una prim’attrice? Prim’attrice era Rossella Falk, che recitava discretamente male ma aveva un gran carisma. Grande attrice era invece, per esempio, Bice Valori. Valeria Moriconi, caso più raro, apparteneva alle due categorie. E Anna Bonaiuto? Il giorno in cui reciterà il cartello dell’oculista ci si vedrà più chiaro.

Marcantonio Lucidi,
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