“Scene di interni dopo il disgregamento dell’Unione europea” di Michele Santeramo, interpreti al teatro India Michele Sinisi ed Elisa Benedetta Marinoni
Giorni infelici sul continente
Lo spettacolo è esattamente ciò che il titolo annuncia: Scene di interni dopo il disgregamento dell’Unione europea, testo di Michele Santeramo, regia al teatro India di Roma di Michele Sinisi, anche interprete con Elisa Benedetta Marinoni. Si tratta di una sorta di teatro di denuncia che svolge la sua vicenda a ritroso nel tempo, dal 2065 alla notte di Capodanno del 2002, che segnò il passaggio dalla lira all’euro.
L’idea è di sovrapporre la storia di una coppia, Alberto e Silvia, alla fantastoria della distruzione di Eurolandia. Il procedimento al contrario, dalla fine all’inizio, non è farraginoso anzi, permette all’autore e al regista di evitare un certo effetto thriller e di concentrare il dramma su una critica pesante, grave delle attuali classi dirigenti continentali. Invero in modo poco teatrale, perché affidata a una voce registrata ed estranea all’azione, si arriva a un certo momento a una denuncia esplicita dei governanti europei, trattati da criminali, assassini, stragisti, ladri, stupidi, terroristi, responsabili del sangue che scorre sulle strade. “Loro sono il cancro, la peste e la morte”, dice la voce, e un artista non ha bisogno di prove giudiziarie per affermare la verità. Un artista sa.
Questo spettacolo è un piccolo esempio delle ragioni che provocano nella classe politica l’odio per il teatro. Perché dopo il definitivo asservimento al mercato – questo grande alibi del potere – della pittura, della letteratura, della musica (affogata peraltro nella cacofonia indistinguibile di internet), la scena teatrale è forse l’ultimo campo d’espressione artistica ancora in grado di sfuggire al controllo. Sono sufficienti un buon testo e un paio di bravi attori per stabilire una comunicazione diretta con il pubblico e favorire la consapevolezza. I politici nostrani lo sanno fin dall’Unità d’Italia e hanno sempre volto lo Stato a finto amico e paternalistico elargitore di prebende in cambio di una sottomissione clientelare e divisiva o addirittura a nemico mortale degli artisti di teatro. Mortale nel senso letterale del termine: negli anni Settanta dell’Ottocento, a nazione appena fatta, un bravo capocomico, Luigi Bellotti–Bon, fondatore di una grande compagnia che annoverava nomi eccellenti dell’epoca (Cesare Rossi e Amalia Fumagalli, Antonio Bozzo e Giacinta Pezzana, Annetta Campi e Gaspare Lavaggi, Costanza e Francesco Ciotti, Enrico Belli Blanes), subì una persecuzione decennale da parte del fisco che gli attribuiva lo spropositato reddito di 250 mila lire (all’incirca a 800mila euro di oggi) e l’obbligava a curare l’esazione dell’imposta di ricchezza mobile dei suoi scritturati. Il povero Bellotti-Bon si vide tolti anche i fidi bancari e alla fine si suicidò il 31 gennaio 1883 a Milano.
La perizia degli interpreti, Sinisi e Marinoni, è benvenuta perché esalta il tema portante dello spettacolo – la sconfitta, la disillusione, il naufragio d’un grande sogno collettivo successivo alle immense tragedie delle due guerre mondiali – e nasconde almeno parzialmente alcuni punti deboli del testo. Alberto e Silvia litigano un po’ troppo e se dal punto di vista della situazione lo scontro è drammaturgicamente comprensibile, poi però all’atto pratico, sulla scena, risulta ripetitivo. Inoltre resta un po’ oscuro il motivo per cui Alberto sarebbe uno dei responsabili della dissoluzione europea anche se comunque appare chiaro il messaggio: i cittadini hanno comunque le loro responsabilità, non fosse che per incuria e inerzia. Tuttavia su questo punto forse si può nutrire qualche speranza perché la costruzione continentale sembra procedere al contrario di quella nazionale. Quando si fece l’Italia bisognava ancora fare gli italiani; gli europei invece, almeno le giovani generazioni, sono fatti malgrado si debba ancora unire veramente l’Europa.