“L’una dell’altra” scritto e diretto da Valentina D’Andrea anche interprete assieme a Flavia Germana de Lipsis
Donne di un mondo senza incanto
Donne di questi tempi, donne in navigazione verso un altro tempo. Donne, femmes, women, Frauen, mujeres. L’una dell’altra, scritto e diretto da Valentina D’Andrea e da lei interpretato assieme a Flavia Germana de Lipsis, è uno spettacolo prima di tutto femminile. Sono meravigliose le ragazze quando disvelano l’intima loro maniera di guardare il mondo e acconsentono all’ingresso dell’estraneo nel dedalo dell’anima muliebre. Labirinti di dolcezza, crudeltà, morbidezza e aggressività, sensualità e a volte quasi lascivia ma di quella particolare qualità che sempre sorprende gli uomini. Bramosia carnale, che è un’inspirazione, e desiderio spirituale, che è un’aspirazione.
Lo spettacolo è arrivato secondo all’ultimo concorso dei corti teatrali del Teatro Lo Spazio ed è tornato sulla stessa scena, stavolta completo. È notte, forse l’aurora, Lucia e Pina sono uscite da una discoteca e aspettano l’autobus sedute su una panchina, unico elemento di scena. Quanto teatro si può fare su una panchina. La prima vede se stessa come una gatta che si struscia contro il mondo, la seconda come un gabbiano in volo. L’una guarda le cose da vicino, l’altra dall’alto. Sono trentenni e il mondo ha già detto loro che non hanno nessuna possibilità, già inceneriti i sogni di gloria, già polverizzate le speranze di successo, chiedono a Dio: che progetto hai per me? Non esiste quasi la situazione drammaturgica, non ci sono il rapporto di causa e effetto, i sillogismi, la maschile logica dimostrativa; tutto è analogia, somiglianza, mente femminile che coglie all’istante i tratti comuni fra le cose, le persone, i comportamenti. Il testo è spietato perché spietata è la velocità di comprensione e di sintesi del mondo nel quale viviamo e feroce il dolore che ne consegue, crudele la ricerca di pezzettini di piacere. Pina fa la giornalista, mestiere oggi distrutto dallo sfruttamento, più nessun’aura di romanticismo ma volgare prestazione per neoproletari urbani; Lucia sogna di diventare cantante, arte ormai senz’arte, standardizzata dal marketing di ragionieri, contabili e laureati in commercio che una sguaiata modernità ha riappellato manager. Oscenità della manipolazione del linguaggio.
Le due donne vittime delle menti pornografiche di chi controlla il sistema trovano nelle loro interpreti la ricchezza d’attrici abili, consapevoli di ciò che fanno, capaci di nascondere una tecnica che si fa naturalezza dello stare in scena, governatrici esperte di quell’arte del recitare che è una menzogna con la quale si dice la verità. Si vuol sperare che questa coppia continui in futuro ad essere tale perché D’Andrea e de Lipsis s’integrano e si distinguono, si amalgamano e di nuovo risaltano. Il finale è perfetto: sdraiate a pancia in giù sulla panchina, le gambe e le braccia a mezz’aria, l’una insegna all’altra a nuotare. A nuotare sulle speranze svanite, sui desideri mancati, sulle illusioni morte, sulle gioie disperate, sui mondi disincantati.