“Tradimenti” di Harold Pinter all’Eliseo, regia di Michele Placido, con Ambra Angiolini e Francesco Scianna

F.Scianna, A. Angiolini, F. Biscione in Tradimenti - Foto di Federico Riva DSC_1361

L’amore delle anime morte

Ambra Angiolini al teatro Eliseo con Tradimenti di Harold Pinter si dimostra un’attrice un po’ legnosa ma perfettamente cosciente del fatto che la sua salvezza è l’umiltà. Recita il personaggio di Emmy, ruolo non particolarmente difficile, attenendosi con grande scrupolo alle indicazioni di Michele Placido, regista dell’allestimento. Si lascia proteggere da una messinscena che funziona come i binari della ferrovia e la porta alla fine dello spettacolo evitando accuratamente di farle correre rischi. L’attrice esce dalla “prima” romana così come vi è entrata, senza illuminare e senza rabbuiare, senza il peccato di promesse non mantenute, prendendo alla fine applausi né freddi né caldi. Questo è l’allestimento di un artista della scena come Placido che sa cosa può ottenere dai suoi attori e si preoccupa di non creare divari stilistici e interpretativi che farebbero risaltare per contrasto le differenze nella qualità dei singoli interpreti.
Tradimenti, scritto nel 1978, è la storia di Emma, sposata con Robert, che per anni è andata a letto con Jerry. I due amanti si erano persino costruiti un nido d’amore in un appartamento affittato per i loro incontri. Negli anni Sessanta Harold Pinter, mentre era sposato con l’attrice Vivien Merchant (al secolo Ada Thomson), ebbe una relazione clandestina durata sette anni con la presentatrice televisiva Joan Bakewell. La commedia quindi si ispira a un fatto autobiografico ma la vicenda non è più intrigante di una banale storia di corna come ne capitano tutti i giorni a qualsiasi essere umano, famoso o meno, grande autore teatrale o commesso in un negozio di ferramenta. Allora, e qui sta l’astuzia, Pinter si inventa di raccontare la propria storia ma a ritroso nel tempo, crea un’anomalia narrativa su un tema che è fra i più sfruttati dal repertorio drammaturgico occidentale. Si incomincia dalla fine e si va verso l’inizio. La suspense corre nel senso inverso, si vuol sapere come tutto incominciò. Soprattutto il tradimento di Emma diventa la metafora di tutti i tradimenti che gli uomini compiono nella vita: un dramma crepuscolare sull’inanità dell’inganno come strumento per estirpare l’uggia dell’esistenza, del matrimonio, dei rapporti umani. Non c’è ombra di felicità nei tre personaggi, solo qualche scossa elettrica provocata da un incontro di corpi, la breve accensione di anime morte che si tenta di rianimare con l’illusione erotica come un defribillatore su un cuore spento.
Con i baffi neri e le sue folte basette, Francesco Scianna nel ruolo dell’amante ricorda un po’ troppo i motociclisti easy rider anni Settanta in sella alle loro Harley-Davidson, però fa il suo mestiere; il marito è Francesco Biscione, che sembra il più in parte, capace di garantire al suo personaggio un tocco umoristico. La regia chiede ai tre interpreti in special modo di tenere alto il ritmo delle battute, come se si trattasse di una partita a squash, che è lo sport dei due personaggi maschili. Oltre non si va ma forse anche perché Tradimenti è un dramma che incomincia a subire l’usura del tempo. Per quanto cerchi di elevarsi a metafora universale, il testo resta molto legato alla sua epoca, sta diventando una testimonianza d’un certo modo d’essere e di fare di quaranta – cinquant’anni fa e si allontana da noi come una vecchia commedia di Feydeau con le sue donnine allegre e i suoi generali della Terza Repubblica. È la mancanza di un’ironica compassione per le eterne debolezze umane a condannare Tradimenti al passato.

Marcantonio Lucidi,
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