All’Argentina “Pride” di Alexi Kaye Campbell, regia e interpretazione di Luca Zingaretti

foto THE PRIDE - diretto e interpretato da Luca Zingaretti .03

Il nuovo teatro dei borgay

In linea generale, esistono due tipi di attore: gli interpreti, che sono degli artisti, e i ripetitori, che sono al massimo dei tecnici. L’appartenenza a una delle due categorie non ha attinenza con il successo che anzi, di questi tempi arride soprattutto agli appartenenti alla seconda categoria. Zingaretti è un ripetitore, ossia un professionista della recitazione che, in quanto tale, offre ai produttori di cinema e fiction alcune garanzie: un livello medio accettabile di mestiere, una continuità di rendimento in quanto svincolata dall’eterodossia dell’artista, l’osservanza all’attuale modello dominante pseudonaturalistico che assicura un “prodotto” standardizzato.
Zingaretti è in scena all’Argentina di Roma con Pride, testo dell’inglese di origine greca Alexi Kaye Campbell, autore che sembra uscito fuori da uno dei quei famigerati corsi di scrittura teatrale e sceneggiatura in cui si spiega ai clienti come piazzare il subplot sotto al controplot sette righe dopo l’arrivo del deuteragonista, preceduto dalla cameriera che annuncia il pranzo servito. La sua è una storia di omosessualità, secondo la moda del momento, dove i personaggi parlano continuamente di sesso, peni, fellatio, e dicono una quantità di parolacce perché fa tanto naturalistico. Come i villeggianti della domenica che in riva al lago di Bracciano guardano le barche a vela e chiacchierano di mascone, drizza e cazzare che, come ognun sa, è lessico da yacht club. I tanto vituperati drammaturghi italiani, a cui s’imputa di scrivere robetta, possono rincuorarsi: hanno un grande futuro se questo è quanto viene dalla patria della drammaturgia. Per dire dell’originalità: qual è secondo Pride il sogno erotico di un gay? Farsi maltrattare da un tizio con l’uniforme da ufficiale nazi. Forse però si tratta di un sogno più genericamente britannico a leggere gli scandaletti che ogni tanto vengono dalla perfida Albione. Uno degli ultimi è del 2008 quando un dirigente della federazione internazionale dell’automobile venne filmato mentre prendeva parte ad un’orgia di tipo sadomasochistico con alcune prostitute in uniformi naziste. Prostitute quindi donne. In questo campo tutto si può inventare, anche farsi calpestare la schiena da un lottatore di sumo con tacchi a spillo e parrucca alla Marilyn, ma non si può far credere che ogni cosa abbia di per sé un significato drammaturgico.
Dai dialoghi di questo, come chiamarlo? dramma, commedia, fotoromanzo?, si evince che i protagonisti hanno dei problemi di identità. Infatti dopo essere andati a letto insieme, Oliver e Philip discettano sulla loro omosessualità. Il primo dice che la cosa gli è piaciuta tanto, il secondo sostiene sempre più nervosamente di non essere gay, per carità, e che si è trattato di un incidente, di un istante di debolezza. Ma l’altro insiste, guarda che sei omosessuale pure tu, non t’è piaciuto anche a te?, e naturalmente la scena finisce con le botte. Sarebbe da ridere se tutto ciò non fosse di una noia e di un moralismo esagerati, amplificati dalla regia dello stesso Zingaretti che organizza un teatruccio così borghesuccio che persino il semidimenticato autore di Come le foglie e Tristi amori, Giuseppe Giacosa (1847 – 1906) che però era un bravissimo librettista d’opera, avrebbe reclamato un po’ più di azione, alla maniera del grande critico Renato Simoni che ammoniva: “El teatro xe asion, no ciacole, benedeto”. Quindi i gay, a vedere questo spettacolo, sarebbero dei borghesi, anche piccoli, il che può essere vero: è il nuovo teatro dei borgay, che però possiede la stessa ironia di un becchino disoccupato.
Lo humour non è dato né a Zingaretti né tantomeno all’autore che anzi prende così sul serio il suo scritto da sovrabbondare: le coppie maschili qui sono due, una calata nel 1958, l’altra ai giorni nostri. Razione doppia per lo spettatore. A dimostrare probabilmente che in oltre mezzo secolo le faccende umane sono sempre le stesse. Eh ma si sa, signora mia, gli uomini non cambiano mai.
La recitazione di Zingaretti e dei suoi compagni di scena – Maurizio Lombardi, Valeria Milillo, Alex Cendron – è impostata sul luogo comune dell’ homo britannicus, notoriamente distaccato, un po’ altero, che conversa a debita distanza dal suo interlocutore. Ma quanto fuoco in quei vulcani apparentemente spenti. Quanto fuoco, signora mia.

Marcantonio Lucidi,
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