Al teatro Vittoria di Roma, “Un marito ideale” di Oscar Wilde, regia di Roberto Valerio

Un marito ideale

L’importanza di essere corrotti

Pietro Bontempo, attore bravissimo, è il punto di forza di questo allestimento di Un marito ideale che gira con meritato successo per l’Italia da ormai qualche stagione. I tre atti di Oscar Wilde, qui accorciati e adattati dal regista Roberto Valerio, sono in questi giorni al teatro Vittoria di Roma e meritano d’essere visti per un bel po’ di ragioni. Intanto perché questa è una bella compagnia all’italiana impegnata in una commedia vittoriana di impianto classico alla quale l’autore aggiunge un’originalità, una verve, una capacità di penetrazione radiografica nell’analisi della società inglese di fine Ottocento che fanno del testo forse il migliore scritto per il teatro da Wilde.
In secondo luogo perché si parla di corruzione politica, che è tema centrale non solo della commedia ma dei tempi nostri. L’argomento accompagna la storia dell’Uomo, anche se in questi anni il fenomeno sembra avere raggiunto, almeno in Italia, proporzioni in grado di mettere a repentaglio la convivenza civile. Questo è chiaramente dovuto alla strage dei talenti (e delle persone perbene) effettuata in special modo negli anni Ottanta e Novanta dai partiti che hanno promosso una classe politica formata nella maggior parte dei casi da grandi bande di criminalità organizzata composte da individui portatori di tare cerebrali, di problemi psichiatrici gravi, di degenerazioni antropologiche e spirituali, quindi avidi di potere come lenimento taumaturgico.
Wilde ride della società in cui vive e fra poco non riderà più perché pochi mesi dopo la “prima” londinese nel 1895 di Un marito ideale verrà incarcerato per omosessualità. Ma è ancora uno degli uomini più spiritosi della nazione (insieme a George Bernard Shaw). I suoi paradossi, le battute, gli aforismi sono qui affidati soprattutto al personaggio di Lord Goring, un alter ego dell’autore, un Wilde in scena, che Bontempo porta a vette di raffinato umorismo, a tal punto che nello slancio a volte finisce nella comicità (che è un’altra cosa). Lord Goring è il tipo frivolo e superficiale che nel suo cinismo di scansafatiche ricco e viziato nasconde saggezza e sguardo acuto sulle cose e gli uomini. La signora Cheveley è una femmina elegante e ricattatrice che conosce l’origine segreta e losca dell’ascesa politica ed economica di Sir Robert Childern, il marito ideale del titolo, e intende approfittarne per i suoi interessi. La moglie di Robert, Gertrude, è una moralista che in nome d’una purezza astratta e ottusa rischia di provocare più danni d’un lestofante. Infatti il terzo tema della commedia è di carattere più intimo: un marito ideale deve essere anche un esempio granitico di virtù? Cosa si deve amare, un uomo o una statua di marmo estratto dalla cava della morale?
Lo stesso Valerio, che in sede di regia ha una mano moderna, brillante, veloce ma non sbrigativa, è a suo agio nel personaggio di Sir Robert, ruolo non semplice da centrare perché deve essere disperato ma non troppo, allegro ma senza esagerare, finto e vero al contempo. La moglie, Gertrudh, è affidata a Chiara Degani che la sera in cui s’è visto lo spettacolo, ha incominciato male, con alcune battute che suonavano false, ma ha ripreso il controllo del ruolo. Càpita agli attori la serata negativa, ma un buon mestiere permette di tirarsene fuori. La moglie deve essere mentalmente rigida ma con una certa morbida sensualità, donna che ha ingoiato una manciata di vetri rotti ma avvenente e desiderabile, altrimenti non si spiegherebbe perché il marito tiene tanto a tenersela. Quanto a Valentina Sperlì (Mrs Cheveley), perde molte occasioni, specialmente nel duetto con Bontempo che poteva essere esilarante e memorabile. Il personaggio è infido, canagliesco e contemporaneamente salottiero, affascinante: perché stia in equilibrio e non cada da un lato in svenevolezze da cocktail party e dall’altro in perfidie alla Crudelia De Mon, è necessario interpretarlo con tempi comici perfetti e con quel senso dell’umorismo che permette all’interprete il distacco necessario a governarlo. Quel ruolo si regge sugli spilli, la Sperlì s’è punta con Crudelia.
In scena anche Alarico Salaroli, che fa il padre di Lord Goring, un perfetto personaggio vittoriano, e il giovane Luca Damiani, che rappresenta la servitù, quindi ha poche battute ma dà prova di presenza scenica e di bravura. Come direbbero i vecchi critici, un attore puntuale.

Marcantonio Lucidi,
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