“L’esposizione universale” di Luigi Squarzina, regia di Piero Maccarinelli, al teatro India

L'ESPOSIZIONE UNIVERSALE di Squarzina

L’anima stracciona dei corrotti

L’Italia è una Repubblica fondata sulla corruzione: questa è la conclusione inevitabile dello spettatore alla fine della rappresentazione del dramma di Luigi Squarzina L’Esposizione universale. Il testo, il primo di questo drammaturgo e regista scomparso nel 2010 che è stato uno dei migliori del secondo Novecento italiano, vinse il premio Gramsci nel 1949. La giuria era composta da una banda di geni del teatro: Orazio Costa, Eduardo De Filippo, Stefano Landi (al secolo Stefano Pirandello, il figlio di Luigi), Vito Pandolfi, Paolo Stoppa, Luchino Visconti. Malgrado ciò l’Esposizione universale non andò mai in scena, se si eccettuano due letture negli anni Cinquanta di Giorgio Albertazzi e Vittorio Gassman e una mise en espace del 1994 diretta da Piero Maccarinelli che è il regista della messinscena, finalmente compiuta, vista all’India di Roma. La censura di un paese che cela al suo interno un meccanismo di repressione dallo scatto automatico quando qualcuno tocca le cose serie, impedì al testo una vita teatrale. Quindi Maccarinelli fa una di quelle operazioni di memoria che sono fondamentali per capire la storia, quindi l’attualità, di una nazione.
L’azione si svolge nel 1946, a guerra appena finita, agli esordi della Repubblica. Si sta negli spazi abbandonati dell’Esposizione universale – quella che Mussolini avrebbe voluto fare nel ‘42 – occupati dalle famiglie di sfollati per colpa del conflitto. La scenografia – sempre di Maccarinelli – è perfetta. Un vantaggio di questo regista è di avere sempre in testa l’ambiente preciso dentro il quale muovere i suoi spettacoli: in questo caso un grande spazio pieno di brande, letti a castello, scale, scalette, praticabili tutti rigorosamente in legno, e materassi, panni stesi, biciclette. Un luogo poverissimo però ordinato, qui ci sono famiglie, non barboni. I personaggi di Squarzina, che quando scrisse aveva 25 anni, sono tratteggiati con una sapienza che si vorrebbe vedere più spesso nella drammaturgia attuale. C’è un avvocato, profugo di Pola; il professor Curbastro che non rinnega il fascismo; un ragazzo che vuole diventare un campione di ciclismo, una ragazza, Lucia, che muore di malattia e la sorella Elli che traffica in piccoli commerci illegali con un brigadiere di polizia, Tamburini, di cui è l’amante. È uno spaccato di popolo di quell’epoca, ammassato lì dentro, che ci rammenta da dove viene una buona parte degli italiani, i quali oggi si vergognano e non vogliono ricordare com’erano, loro e i loro padri. Ma è lì, fra questi poveracci che la corruzione attecchisce e non si staccherà più dal paese, come la scabbia sotto la pelle. Barzilai, un sedicente giornalista, sta montando una colossale speculazione edilizia e pretende che gli sfollati sfollino un’altra volta. È disposto a corrompere il giovane capo della comunità, Remo, ricattabile, sfuggito alla polizia dopo avere picchiato il ministro dell’Interno durante una manifestazione di disoccupati. A questo punto l’autore fa scattare il dramma che ovviamente avrà nel poliziotto delinquente uno dei suoi meccanismi. Non c’è un giudizio moralistico in Squarzina, semmai critico, e giustamente non ce n’è neanche nella regia che organizza una messinscena senza pecche e la mette a disposizione degli spettatori. Così com’è. Per il loro giudizio. La corruzione distrugge la comunità ma è vero anche il contrario: una comunità, una popolazione, una nazione prive di identità e di memoria storica generano corruzione. Nessuno vuole ricordare che la corruzione di oggi nasce contemporaneamente alla Repubblica e cresce sull’avidità insaziabile di un popolo straccione governato da una élite di parvenus mascalzoni.
Tutti giovani e bravi gli interpreti, scelti per far parte del nuovo corso di perfezionamento per attori del teatro di Roma. Assieme a loro lavorano due ottimi artisti affermati come Luigi Diberti e Stefano Santospago. Il Teatro di Roma ha deciso di riprendere l’allestimento nel corso della prossima stagione. E bene fa.

Marcantonio Lucidi,
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