“Lo sguardo di Orfeo”, sei testi di Maricla Boggio al Palladium di Roma
Orfe’, ma tu sei gay?
Tre registi uomini e una donna per allestire uno spettacolo nel quadro del Festival dell’eccellenza al femminile testimoniano di un’incrollabile fiducia riposta nelle capacità artistiche femminili. È doveroso, giusto, buono e santo ammettere una donna su quattro al cimento con l’arte teatrale anche se, a ben pensarci, persino un politico, Matteo Renzi, ha cercato la parità di genere nel suo Consiglio dei ministri. I tre più una sono Marco Avogadro, Duccio Camerini, David Gallarello e Consuelo Barilari anche direttrice del Festival. Lo sguardo di Orfeo, andato in scena al Palladium di Roma, è formato da sei episodi scritti da Maricla Boggio. Il primo, per esempio, si intitola Orfe’ il poeta ed è il solito omaggio a Pier Paolo Pasolini. C’era da aspettarselo: siccome quest’anno ricorre il quarantennale della sua morte, la dilagante originalità, la debordante freschezza di idee, l’insofferenza per gli stanchi rituali commemorativi esortano chiunque abbia una penna in mano ad infilare il povero poeta, già fin troppo sfruttato, in qualunque situazione più o meno culturale. Non è da credere che le pasolinate si placheranno perché fra soli sette anni cadrà il centenario della nascita di Pasolini e fra dieci il cinquantenario dell’omicidio bestiale all’Idroscalo di Ostia. E di che tratta quest’Orfe’ il poeta? Suvvia, dell’omosessualità – viva la novità – oltreché di botte e violenza omicida fra maschi. Temi centrali, come ognun sa, dell’eccellenza femminile. Poi abbiamo negli altri episodi una rielaborazione dell’Alcesti di Euripide, un Lazzaro resuscitato, un pot-pourri di Ovidio e Maurice Blanchot (scrittore e filosofo francese del Novecento) su due amanti che chiacchierano intorno all’insopportabile armonia dell’amore eterno, un Orfeo cantante rock drogato perché ha perso la ragazza in un incidente d’auto, e un’altra storia in cui Orfeo si scopre gay (sempre per omaggiare l’eccellenza al femminile).
Ora, il punto è questo: in assenza di rigore, ai grandi miti universali si può far dire ciò che si vuole, svuotarli e ficcarci dentro la prima stramberia che passa per la testa. Un autore ha il diritto di scrivere quello che gli pare, anche di un Dante onanista di fronte alla foto di Virgilio nudo, poi però le cose non stanno propriamente così. Per esempio, l’omosessualità non ha niente a che spartire con il mito d’Orfeo. Ma c’è la versione di Ovidio strumentalizzata da gruppi gay. Nel libro X delle Metamorfosi, Orfeo, che ha definitivamente perso Euridice nell’Ade, “non aveva amato altre donne, forse per il dolore provato, forse per averne fatto voto”, e respinge le pretendenti. “Gli uomini della Tracia poi ne trassero pretesto per stornare l’amore verso i fanciulli”, prosegue Ovidio. Quando nel libro XI le Baccanti massacrano Orfeo – “Eccolo là colui che ci disprezza!” – la sua anima scende sottoterra, ritrova Euridice e la stringe in un abbraccio appassionato. Però siccome i Traci si sono volti ai fanciulli, allora Orfeo sarebbe l’inventore dell’amore gay.
Chissà, magari in giro si trovano altre interpretazioni. Degli orfici il grande teologo e biblista svizzero Alfred Bertholet (1868 – 1951) scriveva nella sua opera La trasmigrazione delle anime: “Le loro dottrine affermano che l’anima è divina, immortale e aspira alla libertà, mentre il corpo la tiene in ceppi, come una prigioniera. La morte dissolve il duro guscio, ma solo per tornare a imprigionare l’anima liberata; dopo breve tempo, poiché la ruota della vita non interrompe il suo moto inesorabile”. Senza scomodare l’enorme storia dei concetti di metempsicosi e di discesa negli Inferi, lo spettacolo è semplicemente di una bruttezza aggravata dall’interpretazione dei sette attori in scena che si dilettano di tanto in tanto a urlare a sproposito e a cantare con malagrazia. Per la prossima puntata si aspetta la manipolazione del mito di Medea, che ammazzerà i suoi figli ma non Glauce, figlia di Creonte e promessa sposa di Giasone, e anzi andrà spassarsela con lei sull’isola di Lesbo.